Io e Oliviero litigavamo spesso. E altrettanto spesso facevamo pace. Non aggiungerò nulla alla biografia di un giornalista di razza che Marco Travaglio ha bene raccontato domenica su queste pagine. Ma sulla storia dei nostri rapporti personali e di lavoro, datata 2004 quando cominciò a scrivere sull’Unità di Colombo e Padellaro poi proseguita al Fatto fino a qualche ora fa, non me la posso certo cavare con parole di circostanza. Anche perché so perfettamente che, lassù, lo spirito del maledetto toscano se la riderà un mondo a leggere i santini che gli hanno dedicato i tanti che quaggiù gli hanno rovinato la vita. Non vorrei insomma, quando sarà, trovarmelo di fronte che mi fa con quel sorriso un po’ di traverso: che cavolo Antonio da te non me lo sarei aspettato… E quindi mi porto avanti col lavoro.
Premessa d’obbligo: i giornalisti non sono tutti uguali tranne i disadattati professionali che quando lo sono sul serio subito si annusano, si riconoscono, si odiano e dunque si amano. Non vorrei montarmi la testa ma dopo quasi mezzo secolo di onorata carriera penso che sui conflitti psicoambientali nei giornali in cui sono stato potrei raccoglierne un album Panini. Oliviero credo lo stesso. Nella spavalderia incosciente con cui a volte ci mettiamo nei guai per un titolo o una notizia in più o anche per quella unica parola non può esserci maturità o compostezza. Viviamo di sfide quotidiane e cerchiamo l’adrenalina in quelle che possono apparire insensate competizioni. Che non possiamo raccontare a nessuno perché nessuno ci capirebbe eccetto noi.
Quando ho conosciuto Oliviero ho pensato: caspita quando era a Repubblica lui e Roberto Chiodi hanno sfidato le ire del padre della patria Eugenio Scalfari e della nazione intera ai piedi dell’Italia campione del mondo in Spagna con la storia della combine con il Camerun. Conclusione: deve essere proprio un pazzo irresponsabile e dunque mi piace. In genere litigavamo per questioni di ego. Lui si lamentava della mia scarsa attenzione, magari per un pezzo ingiustamente non richiamato in prima pagina. Io rispondevo male. Lui replicava malissimo.
Finiva che sbattevo giù il telefono pentendomi un attimo dopo della mia stronzaggine. Cercavamo entrambi un riconoscimento l’uno dall’altro senza trovarlo. Sì, ci sarebbe voluto uno psichiatra. Il giorno dopo trovavo una scusa per richiamarlo pensando: se mi manda a quel paese fa bene. E invece era contento di sentirmi.
Antonio sei arrogante. E tu Oliviero un rompicoglioni. Ci davamo appuntamento a pranzo ripromettendoci di chiarire una volta per sempre. E infatti chiarivamo sempre la nostra voglia di cazzeggiare e di raccontarci quelle meravigliose storie di giornali che non leggerete mai sui giornali. Non ci sentivamo da molto tempo. Forse la solita stupida ripicca del se non mi chiami tu io non ti cerco. Forse pensavamo che ci sarebbe stato tutto il tempo per farlo. Non è stato così.