Ieri mattina, quando Matteo Renzi ha scritto su Facebook che il Fatto Quotidiano, “politicamente parlando”, gli aveva “fatto un regalo” pubblicando la sua telefonata col padre Tiziano, abbiamo tirato un sospiro di sollievo: finalmente la smetterà di chiamarci “Falso quotidiano”, finalmente sboccia la pace tra lui e noi, magari ci ringrazierà pure. Poi purtroppo, inoltrandoci nella lettura, abbiamo scoperto che il nostro prezioso regalo politico tanto gradito non era: anzi, era “gogna mediatica” (espressione che ci pare di aver sentito da qualcun altro, ma forse è solo un’impressione) e “caccia all’uomo” di chi “costruisce scandali”, “pubblica prove false”, “si inventa di tutto”, roba da affidare agli “avvocati” per chiederci “un risarcimento danni copioso” e farsi “pagare i mutui della mia famiglia: perché noi come tutti gli italiani abbiamo i mutui, non le tangenti” (salvo quando gli appartamenti sono gratis perché li paga Marco Carrai, come del resto capita a tutti gli italiani).
Bella gratitudine: uno ti fa un regalo e tu lo ripaghi così? Anche questa schizofrenia ci ricorda qualcuno: un certo B. che, appena pubblicavamo qualcosa sui suoi scandali, diceva che gli facevamo guadagnare un sacco di voti, salvo poi chiederci i danni a suon di querele penali e cause civili. Eppure, per Renzi, era tutto molto semplice. Siccome abbiamo rivelato che in privato, parlando col padre, non credeva a lui e agli altri indagati (Lotti in testa), ma ai pm di Napoli e ai carabinieri del Noe, e poi in pubblico attaccava i pm di Napoli e i carabinieri del Noe e difendeva babbo Tiziano, Lotti & C., ieri doveva scegliere. E dirci qual è il vero Renzi a cui dobbiamo credere: quello privato o quello pubblico? Invece è riuscito nell’ardua impresa di non scegliere: dovremmo credere sia al Renzi che condanna il padre e assolve gli inquirenti sia al Renzi che assolve il padre e condanna gli inquirenti. Perché lui è un tipo “serio” (e figurarsi se non lo fosse). Dunque, con un gioco di prestigio, tagliuzza e riscrive la telefonata come pare a lui, e aggiunge la solita carrettata di balle.
1. “Mio padre ha conosciuto la giustizia solo dopo che io sono arrivato a Palazzo Chigi”. Giustizia a orologeria, direbbe quell’altro. In realtà Tiziano Renzi non è finito sotto inchiesta perché suo figlio è premier, ma perché una sua società – la Chil Post – è fallita (inchiesta per bancarotta poi archiviata, almeno per lui, a Genova) e perché gli investigatori, indagando su Romeo, hanno scoperto che trafficava con lui e col suo fido Carlo Russo per essere raccomandato alla Consip in cambio di 30 mila euro al mese per “T”. e di 5 mila euro a bimestre per “C.R.”.
2. “Qualcuno si è tolto la vita per le intercettazioni, qualcuno ci ha rimesso il lavoro”. Parla delle Olgettine, che poi B. deve pagare a titolo risarcitorio? Chissà. E ora che fa: abolisce le intercettazioni? Ha la maggioranza, proceda.
3. “La pubblicazione come sempre è illegittima ed è l’ennesima dimostrazione dei rapporti particolari tra alcune procure e alcune redazioni”. Due mesi fa lo stesso Marco Lillo rivelò, nel corso dell’interrogatorio di Virginia Raggi, la notizia segreta delle polizze di Salvatore Romeo: perché Renzi e il Pd non ci diedero dei violatori del segreto, anzi si concentrarono sui fatti e ne chiesero doverosamente conto alla Raggi e a Romeo?
4. La telefonata col padre sarebbe la prova della sua “serietà” di “uomo delle istituzioni”. Mica tanto: un uomo delle istituzioni non imbecca il padre indagato alla vigilia del suo interrogatorio istigandolo a “non dire che c’era mamma (a un ricevimento con Romeo, ndr) altrimenti interrogano anche lei”.
5. “Secondo i magistrati di Napoli Romeo avrebbe dato 30mila euro in nero al mese” a babbo Tiziano, ma a questa “storia non crede nemmeno un bambino di 3 anni”. I pm di Napoli non l’hanno mai detto: sono i pm di Roma che hanno indagato babbo Tiziano a scrivere che “si faceva promettere 30mila euro al mese da Romeo”. La promessa non si tradusse in realtà perché, nel frattempo, papà Tiziano e gli altri protagonisti dello scandalo furono avvertiti delle indagini da alcune talpe istituzionali, tutte vicine a Renzi.
6. Renzi si sarebbe fatto l’idea che papà Tiziano mentiva, negando di aver mai incontrato Romeo, perché “ingenuo come sono, credo a Repubblica” che ha intervistato il commercialista del Pd Alfredo Mazzei, il quale raccontava che Romeo gli riferì di una cena segreta con papà Tiziano in una bettola. Ma poi “mio padre mi ribadisce: non c’è stata nessuna cena” e lui capisce che “non c’entra niente, non ha fatto niente, questa storia puzza”. Purtroppo la telefonata è ben diversa. Il babbo esclude cene con Romeo, ma non incontri “al bar”. E Renzi gli dà del bugiardo (“non ti credo… non è credibile che non ricordi di aver incontrato uno come Romeo”), perché sa bene che il punto non è il ristorante, o la bettola, o il bar. Sono gli incontri. Renzi crede a Mazzei perché “è l’unico che conosco anch’io”, non perché è “ingenuo” e si fida di Repubblica. E dà per scontato che almeno un incontro fra Tiziano e Romeo ci sia stato (“Devi dire se hai incontrato Romeo una o più volte”). Siccome Mazzei e il sindaco di Rignano Daniele Lorenzini han messo a verbale che Tiziano incontrò Romeo, non si vede cosa sia cambiato dal 2 marzo per convincere Matteo che “mio padre non ha fatto niente” ed “è entrato in una storia più grande di lui solo per il cognome che porta” e “il mio impegno in politica”.
7. La svolta che azzera i fatti non può essere l’indagine per falso sul capitano Scafarto: lo scambio di persona Romeo-Bocchino per la frase “l’ultima volta che ho visto Renzi” non azzera le testimonianze giurate di Mazzei e Lorenzini. E gli errori o i falsi del capitano sui servizi segreti e il presunto spionaggio anti-Noe non riguardano il ruolo di Tiziano nell’indagine.
8. Renzi si vanta di aver detto al padre di dire “tutta la verità ai pm”. Ma non è così. Che vuol dire “Io non voglio essere preso in giro e tu devi dire la verità in quanto in passato la verità non l’hai detta a Luca e non farmi aggiungere altro”? Chi è Luca, per caso Lotti? E a che titolo parlò con Tiziano? E quando: prima o dopo dello scoop del Fatto che il 22 dicembre rivelò l’indagine? Se prima, è l’ennesima prova che Lotti e Tiziano sapevano dell’inchiesta, e pure Renzi (come racconta Vannoni ai pm e come emerge dall’intercettazione): e chi li aveva informati? Se dopo, in che veste il sottosegretario o ministro indagato Lotti parla con l’indagato Tiziano? Per molto meno, di solito, parte l’accusa di inquinamento di prove. Ma soprattutto: quale bugia Renzi sa che il babbo ha raccontato a Luca? È quanto dovrà spiegare ai pm, se e quando lo convocheranno come testimone.
9. “Marco Lillo già in un caso ha preteso di mettere una clausola di riservatezza così da non dire fuori se e quanto ha dovuto pagare: fanno sempre così i teorici della trasparenza altrui”. Lillo non ha dovuto pagare un centesimo a Renzi né ha preteso alcuna clausola di riservatezza. Un giornalista dell’Espresso, ora a Repubblica, nel 2008 scrisse un articolo sulle primarie a Firenze accanto a uno di Lillo. Renzi, presidente della Provincia li querelò. Poi Lillo uscì dall’indagine e vi restò solo il collega: l’Espresso concluse una transazione per il ritiro della querela con clausola di riservatezza che Renzi sottoscrisse e ora ha violato. Ma né Lillo né il Fatto c’entrano nulla: perciò Renzi sarà querelato.
10. Il Renzi della telefonata, a parte l’imbeccata sulla madre, ci piaceva un sacco: inflessibile, logico, ancorato ai fatti, conscio della gravità giudiziaria, etica e politica dello scandalo Consip e delle bugie paterne, quasi un giustizialista e un socio onorario del Fatto. Ma ieri purtroppo non ha retto, è stato più forte di lui. Chi mente in pubblico e viene scoperto a dire la verità in privato, ha due strade: o ammette la sua menzogna, chiedere scusa e andare avanti; o continua a mentire per coprire le menzogne precedenti. Renzi, purtroppo, ha scelto la seconda opzione. E si è condannato a mentire sempre, all’infinito, in saecula saeculorum. Una prece.