Il cardinal Gualtiero Bassetti, vescovo di Perugia, è il nuovo presidente della Cei e dunque il nuovo leader della chiesa italiana. La notizia suggerisce alcune considerazioni. La prima: in questa occasione, la Cei ha inaugurato un nuovo metodo per eleggere il suo presidente. Il papa non ha designato direttamente il nuovo capo della conferenza episcopale, ma lo ha scelto in una rosa di tre nomi votata dagli stessi vescovi. Il metodo è cambiato, ma il risultato è sempre lo stesso: la terna era infatti composta da tre fedeli seguaci del papa e il vincitore della competizione è guarda caso proprio l’uomo che Francesco aveva in mente per quel posto e che avrebbe nominato direttamente se fosse stato ancora in vigore il vecchio sistema. I vescovi italiani sono refrattari all’autonomia e immaginano il proprio ruolo come quello di una sorte di corte papale, caratterizzata dall’obbedienza e dalla subalternità al romano pontefice. Un tempo assecondavano le preferenze di Karol Wojtyla e di Joseph Ratzinger, oggi fanno lo stesso con il nuovo capo supremo. La democrazia e il fisiologico confronto tra linee pastorali e “politiche” alternative sono estranee alla cultura e alla prassi dell’organizzazione. Il principio monarchico regge ancora benissimo: solo uno comanda, tutti gli altri obbediscono.
Seconda considerazione: osservando i comportamenti e le scelte di Bassetti capiremo ancora meglio in cosa consistono lo stile e la linea di Bergoglio.
Il cardinale di Perugia non è, per sua stessa ammissione, uomo di grandi e ambiziosi progetti riformatori. È piuttosto un onesto gerarca specializzato in mediazioni e compromessi: è un uomo del dialogo, dell’ascolto, è un capo paziente e relativamente tollerante, fermo sui principi morali e sulla dottrina, cioè sui valori non negoziabili tanto cari ai suoi predecessori, ma al tempo stesso capace di grande misericordia, cioè di ampia tolleranza, quando si tratta di giudicarne le violazioni. Esattamente come fa il papa nel governo della Chiesa universale, non metterà ai margini nessuno, cercherà di comprendere tutti e proprio per questo non proporrà grandi innovazioni. Non è certo personaggio da strappi o da svolte improvvise.
Terza considerazione: è anziano, ha 75 anni, governerà per un solo quinquennio, e anche per questo è difficile che lasci grandi tracce. La sua carta d’identità rispecchia quella del papa (anche se Bassetti è un po’ più giovane).
Tra cinque anni, quando il mandato di Bassetti scadrà, in Vaticano potrebbe già esserci il successore di Francesco, un pontefice eventualmente più giovane e capace di mettere in cantiere per la Chiesa italiana una scelta più coraggiosa di quella odierna.
Con la nomina di Bassetti si chiude una lunga epoca della Chiesa italiana, quella dominata dall’ingombrante figura del cardinal Camillo Ruini, di cui anche il successore al vertice della Cei Angelo Bagnasco è stato certamente un epigono.
Si è trattato di un’epoca grandiosa e insieme tragica, caratterizzata da un ambizioso progetto di riconquista culturale e politica della società italiana, condotto sì con grande spregiudicatezza politica e notevole astuzia, ma rivelatosi in definitiva clamorosamente fallimentare e miseramente crollato insieme al “sogno berlusconiano” del quale era stato un importante elemento ideologico.
La breve epoca Bassetti sarà, immaginiamo, molto più modesta e meno ambiziosa e casomai un po’ più centrata sui temi pastorali e sociali a detrimento di quelli politici ed etici. Non sarebbe un male.