“Tout est pardonné” potrebbe essere il titolo del film di questi giorni. Berlusconi il leader dei moderati, Berlusconi l’interlocutore per la legge elettorale “modello tedesco”. Ogni cosa – la condanna per frode fiscale, l’estromissione dal parlamento, il conflitto d’interessi – è sprofondata nell’oblio. Roberto Saviano una volta ha detto: “Renzi mi ha trattato come Berlusconi” (si riferiva a una frase dell’ex premier del Pd, “Non lasciamo che il racconto di questa terra sia solo il set di Gomorra”).
Saviano, perché il Pd tratta con un leader che nemmeno può sedere in Parlamento?
L’esperienza di Matteo Renzi da segretario del Partito democratico ha avuto sin dal principio l’obiettivo primario di prendere l’elettorato di Berlusconi. Il 41% alle Europee del 2014 è stata la conferma, per il segretario, della necessità di quella operazione. Matteo Renzi sa – e credo non si dia pace per questo – che la fine prematura della sua leadership è stata la rottura del Patto del Nazareno. Sa di aver “tradito” non solo Berlusconi, ma le premesse politiche della sua segreteria. Berlusconi aveva evidentemente designato Renzi quale suo erede politico (anche perché il Centrodestra si distingue per la pochezza, ai limiti dell’imbarazzo, dei suoi “leader”), e gli errori del segretario del Pd lo hanno nei fatti costretto a rimanere in campo, anche con questa cosa, francamente patetica, del partito animalista. Quindi la questione non è che il Pd tratta con Berlusconi, il problema è che il Pd ha prodotto un provvedimento di destra come il decreto Minniti-Orlando.
Crede che il dialogo sulla legge elettorale sia il preludio per un nuovo governo delle larghe intese?
Una politica che, a pochi mesi dalle elezioni nazionali, discute di quale legge elettorale adottare, trasmettendo la sensazione di voler orientare le scelte secondo le proprie necessità, è di per sé uno scandalo. Aggiungo: il lavorio sulla legge elettorale è parallelo alla ricerca delle alleanze. Da questo punto di vista, la volontà dei 5stelle di evitare ogni discorso relativo a ipotesi di alleanze agevola gli altri nel guardare in tutte le direzioni.
Per anni il partito democratico ha combattuto Berlusconi, non solo sul terreno politico, ma anche per le violente dichiarazioni sulla giustizia. Anche il suo addio a Mondadori si consumò dopo una sua frase di solidarietà con i giudici di Milano.
La violenza verbale utilizzata da Berlusconi contro la magistratura era funzionale, oltre che ai suoi interessi di imputato, alla sua comunicazione politica. L’arrivo di Renzi alla segreteria del Pd e le sue posizioni, da subito, hanno lasciato intendere che i passi che a Berlusconi erano stati preclusi a Renzi erano possibili, poiché si sarebbe agito “da sinistra”. E questo ha creato grandi aspettative a destra.
Quello che sta accadendo in Rai, con l’indebolimento della tv di Stato, secondo molti commentatori non è neutro, ma potrebbe essere per l’ennesima volta una merce di scambio a fini elettorali. Lei cosa ne pensa?
Penso che un giovane politico che si presenta agli elettori dicendo “giù le mani dei partiti dalla Rai” per poi sviluppare un’ossessione per la Rai, dai palinsesti alle direzioni di rete, fino ad arrivare a chi presenta trasmissioni, sia solo un bluff. Del resto la differenza tra chi c’era prima e il renzismo è che gli altri controllavano la Rai, ma non raccontavano all’esterno di volerla liberare da loro stessi. Adesso invece si pretende un racconto deformato di quello che in realtà accade: a questo punto credo che c’entrino gravi problemi di gestione dell’ego.
Gli intellettuali, anche quelli che per anni hanno tuonato contro Berlusconi, sono piuttosto silenti. Perché?
Quando ho chiesto le dimissioni – tra i primi – del ministro Boschi in nome del conflitto di interessi mi sono fatto pubblicamente la stessa domanda. Era il dicembre del 2015 e tutto sembrava ancora smart e giovane: nel volgere dei tre giorni di quella Leopolda sono cadute tante maschere e quei volti giovani sono trasfigurati nella solita politica politicante. Da un lato va pure detto che il potere di Berlusconi era infinitamente maggiore di quello che attualmente ha Renzi. Se vogliamo davvero credere che Renzi sia il padrone dell’Italia possiamo pure farlo, ma credo sia solo un modo per sentirci ancora giovani. Io vedo una leadership azzoppata, che ha bisogno di mezzucci per restare in piedi. Renzi quando parla di se stesso pensa a Macron, io ci vedo Cameron, ma senza la capacità di accettare le conseguenze politiche dei propri errori. Quanto potrà durare? Credo molto poco.
Il Pd sta attraversando in questa fase una mutazione genetica, come si disse del Psi di Craxi negli anni 80?
Non è possibile fare paralleli storici in vitro. Sono passati quasi quarant’anni e siamo quasi al decimo anno di una recessione spaventosa. Il Paese è in ginocchio e chi lo descrive viene accusato dai trombettieri della speranza di demoralizzare. La speranza nasce quando si dismettono i veli e si cerca la verità, altrimenti è solo un camuffamento. Il muro di Berlino è caduto trent’anni fa, non me la sento di fare paralleli omettendo ogni contestualizzazione. Del resto le cose, e la politica, sono sempre più semplici delle nostre costruzioni: tranne che per quella sinistra disperatamente vocata alla sconfitta, la politica è ricerca del consenso. Nel 2013 Berlusconi era politicamente morto e c’era un elettorato in cerca di autore; più che mutazione genetica il Pd ha vissuto un cambio di leadership e dunque di direzione: coloro i quali hanno votato Renzi alle primarie vinte contro Cuperlo, credo fossero ben consci di quel mutamento. E credo pure che lo cercassero. Certo non potevano immaginare che il proprio partito si sarebbe lanciato nella indegna gara alla ricerca del voto di chi auspica la cacciata dell’immigrato, nella quale Lega Nord e M5S mi sembrano avanti di gran lunga.