Non sono ancora depositate le nuove carte dell’accusa contro il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto. Sulla base delle fonti disponibili abbiamo ricostruito il contenuto della chat scambiata da Scafarto il 3 gennaio del 2017 con il vicebrigadiere Remo Reale. Dopo avere ascoltato l’audio della conversazione tra Alfredo Romeo e Italo Bocchino, Reale scrisse al capitano che l’attribuzione della frase su un tal ‘Renzi’ a Romeo e la lettura in chiave accusatoria contro Tiziano Renzi, erano sbagliate.
Reale, dopo avere scritto a dicembre, nel suo sunto, che a parlare non era Romeo (di Tiziano) ma Bocchino (di Matteo) lo riscrisse anche via Whatsapp a Scafarto a gennaio. Reale scrive che la frase “Renzi, l’ultima volta che l’ho incontrato” non è di Romeo ma di Bocchino pochi giorni prima che Scafarto scriva il contrario nell’informativa.
Come se non bastasse, Reale invia a Scafarto l’audio perché senta con le sue orecchie. Il capitano però non ci sta e invita Reale a riascoltare l’audio con altri colleghi perché quella conversazione – nella sua lettura – poteva essere utile per l’arresto di Tiziano Renzi.
Non sappiamo se Reale poi lo abbia fatto. Sappiamo che Scafarto sbagliava: l’audio non provava nulla contro Renzi senior. Altro che arresto.
Inutile girarci attorno, la chat cambia la posizione di Scafarto. Il mero errore diventa difficile da sostenere. Nell’ipotesi migliore si è comportato come un accusatore ottuso e pervicace vittima di un pregiudizio.
Il fatto che Scafarto nella chat citi l’arresto di Tiziano Renzi per chiedere a Reale di riascoltare l’audio insieme ai colleghi, per il suo avvocato sarebbe un elemento a discarico dal punto di vista penale. Sarà. Di certo quella frase fa venire i brividi. Bisogna dirlo chiaramente: se in giudizio fosse provato il suo dolo, il capitano Scafarto dovrà pagare come la legge prevede. E Tiziano Renzi, come qualsiasi cittadino sottoposto a un’indagine, ha tutto il diritto di protestare per come un funzionario dello Stato ha disatteso – su questo punto – il suo dovere di cercare la verità e non “la sua verità”.
La Procura di Roma, che altre volte abbiamo criticato, ha avuto ragione a prendere sul serio questa storia.
Ora però non bisogna gettare il bambino con l’acqua sporca come in tanti vorrebbero. L’indagine del Noe, depurata dagli errori grazie ai pm romani, contiene molti elementi importanti che ora in molti cercheranno di far passare per farlocchi come l’audio di Bocchino su Renzi: il pizzino trovato nell’ufficio di Romeo con i 30.000 per T., le intercettazioni di Carlo Russo, i verbali di Luigi Marroni con le accuse al generale Emanuele Saltalamacchia e a Luca Lotti.
Ieri la Procura di Roma ha finalmente sentito il teste chiave: l’ad di Consip Luigi Marroni. Da qui potrebbe ripartire l’indagine sulla “ciccia” del caso: la turbativa della gara più grande d’Europa, le fughe di notizie e le raccomandazioni del padre di Renzi in favore del suo compare Russo. Se i pm mostreranno nell’indagine sulla Consip la stessa determinazione dell’indagine sul Noe, se ne vedranno delle belle.