Una premessa per non traviare il lettore: Warren Ellis è uno dei migliori scrittori di fumetti in circolazione, ma Karnak – il punto debole di ogni cosa non è uno dei fumetti migliori di Ellis. Eppure va letto perché Ellis (e l’editore, cioè la Marvel Comics) hanno finalmente capito le potenzialità di un personaggio minore che per decenni è stato soltanto una delle mille comparse tra supereroi in calzamaglia. Karnak appartiene alla razza degli Inumani, abitanti di Atlantide che da neonati vengono esposti alle “nebbie terrigene” che donano loro incredibili poteri ma spesso impongono anche un prezzo, deformità, mutazioni, perdita di alcune facoltà “umane”. Una delle tante metafore che Stan Lee usava per aiutare i suoi giovani lettori degli anni Sessanta ad affrontare l’adolescenza. Warren Ellis ne coglie però un altro aspetto: l’esposizione alle nebbie è un battesimo, la sottomissione a una volontà superiore, all’arbitrio di dio – che da Abramo in poi misura la fede anche nella disponibilità a sacrificare i figli – o della genetica (che in fondo è lo stesso). I genitori di Karnak rifiutano di sottoporre il bambino al rito. Che quindi non acquisirà alcun potere. La ribellione alle usanze mistiche lo spinge verso il culto della ragione, diventa un eremita e un filosofo. Ma, poiché siamo pur sempre in un fumetto Marvel, i suoi studi si traducono in un potere: quello di individuare “Il punto debole di ogni cosa”. Se la filosofia distrugge certezza attraverso la pratica del dubbio come metodo, Karnak può abbattere qualunque avversario intuendone le fragilità, nel corpo e nello spirito. Nasce così, grazie alla penna di Ellis e al tratto di disegnatori cupi al punto giusto (Fuso, Boschi e Zaffino, il migliore) un eroe pieno di dubbi etici e tormentato da quegli stessi dubbi che insegna agli altri a praticare. E il “cattivo” della storia è un mutato che ha il potere di indurre le persone a credere che la realtà sia diversa da quella che è. Karnak dovrà guidare gli inconsapevoli schiavi fuori dalla loro platonica caverna.
La sua vera forza deriva dalla consapevolezza che “al mondo non importa”, una forma di stoicismo che impone di relativizzare ogni preoccupazione, ogni percezione. Il prezzo però è elevato, perché se niente importa davvero, allora la morale è soltanto una convenzione, un laccio privo di ogni base di legittimità diversa dalla consuetudine. Alla quale uno spirito libero può – e forse deve – rinunciare.