Lì, dove c’è il Tricolore. Dove c’è lo stemma dei carabinieri. Proprio lì urlavano “negri scimmie”. Infilavano le pistole in bocca agli immigrati e ridevano: “Bravo!”, “Fantastico”.
La caserma di Aulla è scalcinata: i muri scrostati, le tapparelle abbassate per il caldo o la vergogna. L’unica cosa che pare viva è l’acqua della fontanella in giardino. Dentro non c’è nessuno, suoni il campanello e ti risponde una voce da un’altra città: “Gli uffici ad Aulla oggi sono chiusi”. Per forza, tutti i carabinieri sono indagati. Il brigadiere è in galera. E nei paesi vicini – da Albiano Magra a Licciana, fino a Pontremoli – non va molto meglio. Un far west con la divisa, secondo i pm. Ma alla fine ti resta una domanda: possibile che in Val di Magra nessuno sapesse?
Allora ti metti a camminare cercando la risposta. Prendi via della Resistenza, nome non casuale perché il comune è Medaglia d’Oro. Cammini e incontri sguardi bassi. Vero, l’afa rende pesanti i pensieri. Ma ritornano in mente le parole delle intercettazioni: “Noi siamo come la mafia!”. Il maresciallo che si metteva di traverso era un “infame”. “Il pm deve morire”. Le parole di Cosa Nostra. Ma a dirle erano i carabinieri.
“Adesso – ti punta l’indice addosso Marcello, e non chiedergli il cognome perché nessuno lo vuole dire – chi ci difenderà dagli immigrati? Ci hanno lasciati soli, alla frontiera”, e questo pensionato con la camicia bianca troppo larga indica uno dei palazzoni bianchi, così alti, così fuori posto in un paese di campagna, che paiono costruiti con i Lego. È quella la “periferia” di un comune di 5 mila abitanti, dove vivono loro: i “negri”. Li incontri spesso per strada. Allora devi ascoltare Giulia che, però, per parlare ti porta in una stradina laterale: “Non prendetevela con Aulla. Troppo facile. Ormai in Italia tanti chiamano gli immigrati ‘negri’. Tanti pensano che sono ‘scimmie’. Per questo la nostra storia è grave: anche i carabinieri lo fanno. Anche lo Stato”. Non è colpa di Aulla. Questo paese somiglia all’Italia. A cominciare dalla piazza centrale: divisa in due. Metà è piazza Gramsci. L’altra metà piazza Bettino Craxi, con tanto di statua del leader socialista che sorveglia un prato spelacchiato. Il politico morto nelle carceri fasciste e quello scappato a Mani Pulite.
In venti minuti vai a La Spezia, in Liguria. Ma sei in Toscana. Non ti senti da nessuna parte. E allora fioriscono potentati, dinastie. Da questi paesi è venuta la famiglia Ferri, i re di Pontremoli: Enrico, il ministro Psdi; Cosimo, oggi sottosegretario alla Giustizia; Filippo, super-sbirro condannato per il G8 e poi finito al Milan. Ma c’è anche Sandro Bondi dalla vicina Fivizzano. E Lucio Barani che prima di andare con Denis Verdini era “più craxiano di Craxi” (lui, da sindaco, volle la statua di Bettino). Tanti scivolati da sinistra al berlusconismo.
Oggi lo Stato, il potere, erano i carabinieri. Come in tanti paesi d’Italia. E intorno a loro, basta leggere le carte dell’inchiesta e le cronache, si sono raccolti in molti. C’era il brigadiere che indicava a chi si presentava in caserma il nome di un avvocato di sua fiducia: “Vai da lui”. C’è il neo-sindaco, l’avvocato Roberto Valettini (centrosinistra), persona gentile e da tutti definita perbene, che oggi fa il primo cittadino e difende i carabinieri in tribunale: “Ho sempre difeso i carabinieri. Certo, queste accuse fanno male. Ma non mi pare inopportuno”. Tutto normale se il sindaco-avvocato – quando gli parli non sai come chiamarlo – difende chi chiama “scimmie” degli esseri umani. Se assiste i carabinieri che potrebbero indagare sul Comune.
Politici, abitanti, in trecento a marzo sono scesi in piazza per difendere i carabinieri indagati. E adesso c’è chi vorrebbe manifestare ancora.
Senz’altro non sapevano cosa succedeva dietro le pareti della caserma. Ma quegli uomini in divisa risolvevano i problemi. E forse qualcuno di troppo in paese condivideva la frase pronunciata dal brigadiere: “Dove non arriva la giustizia, arriva l’ingiustizia”.
La Resistenza è lontana e i vecchi seduti davanti al caffé Trocadero – nome parigino e insegna con la Torre Eiffel – hanno bisogno di trovare un colpevole se si sentono soli, senza commissariato, senza ospedale, con i figli disoccupati: sono gli immigrati. Quando – come nella poesia di Paolo Bertolani, nato a Lerici, a due passi da qui – si sente che “adesso la vita è/ questo cane vecchio che mi aspetta/ fuori dalla porta, guardando fisso il legno”.