Dopo mesi di paura, di psicosi anche, l’Italia da ieri si ritrova alle prese con il primo e conclamato caso di Blue Whale, “il gioco” criminale che porta al suicidio, nato in Russia nel 2015. La Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati una persona con l’accusa di istigazione al suicidio. Fino a qui l’asettica cronaca giudiziaria. Sono, però, in realtà i particolari dell’inchiesta a inquietare.
La persona sotto indagine è infatti una ragazza di 20 anni di Milano. Sarebbe lei, nell’ipotesi ricostruita dalla Polizia postale, il cosiddetto “curatore”, ovvero colui che attraverso un uso massiccio dei social come WhatsApp, Instagram e Facebook aggancia la propria vittima e la convince, anche attraverso pesanti minacce contro i familiari, a infliggersi dolore, una volta al giorno, per cinquanta giorni di fila, fino ad arrivare all’atto finale del suicidio. Gesti che devono essere fotografati e inviati come prova al curatore stesso. Un macabro rituale che ora diventa indagine penale. Di più: la vittima è una bambina di 12 anni che vive tra Roma e il nord Italia. Gli investigatori, coordinati dal pubblico ministero Cristian Barilli, hanno ricostruito una parte della messaggistica via Instagram arrivando poi a identificare la ventenne. Agli atti del fascicoli ci sono diverse foto della bambina, immagini che ritraggono alcuni tagli che la minore si è auto-inflitta su ordine del proprio “curatore”. La Polizia postale, però, non ci arriva da sola. Agli inizi di giugno, qualcuno inciampa in queste foto. Secondo fonti giudiziarie si tratterebbe di una persona vicina alla vittima, presumibilmente un amico.
La persona così corre subito dalla polizia per denunciare la presenza di queste immagini. La pg acquisisce il dato e convoca il padre della 12enne. L’interrogatorio che naturalmente resta top secret, ruota attorno alle abitudini della figlia. Si vuole sapere se la bambina nelle settimane precedenti ha messo in atto alcune delle regole della Blue Whale.
Tra queste, ad esempio, incidersi sulla mano con il rasoio la scritta #F57. Si tratta di un gruppo nato su VKontakte, l’omologo russo di Facebook e che contiene gesti macabri ed estremi. Tra gli ordini anche camminare lungo i binari, o sui cornicioni di palazzi molto alti oppure guardare per tutto il giorno video psichedelici e scene horror. L’interrogatorio del padre ha avuto questa finalità. L’identificazione della ventenne è arrivata già prima seguendo il percorso delle immagini su Instagram. E comunque sia, chiuso il verbale del genitore, il giorno dopo la procura ha chiesto e ottenuto perquisizioni e sequestri. In casa dell’indagata sono stati portati via un notebook e un telefonino. La cautela, naturalmente, è massima. Ancora la procura deve capire se realmente gli ordini a infliggersi quei tagli siano partiti dal profilo dell’indagata. Anche per questo già domani saranno eseguiti alcuni rilievi scientifici irripetibili sui vari apparati elettronici.
Insomma la preoccupazione è alta. Un caso simile si è verificato solo pochi giorni fa a Mantova. Qui però non vi sono indagati. Ma forse qualcosa di più: una vita salvata. Vittima un ragazzo di Roma. La sua salvatrice è una coetanea di Mantova la quale si accorge che nei loro scambi di messaggi la parola Blue Whale è sempre più citata. Da qui la denuncia e la successiva identificazione della presunta vittima. “Il suo curatore – ha spiegato la ragazza alla polizia – lo ha minacciato di prendersela con la sua famiglia, gli ha detto che non gli restava altra scelta che suicidarsi”. Attualmente sul tavolo della Procura di Milano ci sono una decina di casi. Tra questi anche due suicidi e un tentato suicidio, avvenuti in un istituto di Milano.