La piccola vendetta renziana è servita: Massimo D’Alema non è più presidente della Feps, la struttura che riunisce le fondazioni del Partito socialista europeo. Ieri pomeriggio all’ex leader diessino è stata sottratta l’ultima poltrona rimasta, quella che gli garantiva un ruolo di prestigio a Bruxelles.
Lo sfratto di D’Alema non è evidentemente legato alle dinamiche europee, quanto alle incancrenite rivalità del cortile romano. La prima manovra renziana in terra belga per togliergli il posto risale al periodo della campagna referendaria, ma non aveva avuto successo.
Ieri invece l’ex comunista è capitolato in Assemblea: 22 voti contro di lui, 15 a favore. A raccoglierne l’eredità è la portoghese Maria João Rodrigues.
Lo sgarbo al fu Lìder Massimo era stato anticipato da una lettera firmata da 7 fondazioni socialiste, che chiedeva “una leadership rinnovata, capace di lavorare mano per la mano con il Pse e i partiti nazionali che ne fanno parte”. In Italia sono il Partito socialista italiano e soprattutto il Partito democratico: che D’Alema non vada “mano nella mano” con il segretario del Pd è un fatto piuttosto evidente. Alla lettera era però seguito un giallo, visto che uno dei firmatari, Henri Nallet – presidente della fondazione francese Jean Jaures – aveva negato di aver sottoscritto il documento, e di aver mai chiesto il cambio della guardia in seno alla Feps.
In ogni caso, i nemici di D’Alema in assemblea si sono rivelati più numerosi dei suoi sostenitori. Prima della resa dei conti, l’ex premier aveva provato a difendersi con una contro-lettera: con la sua “rimozione brutale” – si legge – si rischiava “una tragica spaccatura” e “di indebolire gravemente la credibilità della nostra istituzione”. D’Alema aveva sottolineato il metodo “piuttosto inusuale” con cui era stata presentata la candidatura della Rodrigues, cioè avvisando prima la stampa italiana della stessa Feps. Le ragioni per mandarlo via, “sono legate alla politica italiana e non alle attività della fondazione”.
D’Alema aveva proposto una mediazione, con “l’obiettivo di cercare una soluzione dignitosa e condivisa”: chiedeva di prolungare il suo mandato per “pochi mesi”, prima di eleggere un nuovo presidente alla fine dell’anno, in modo da poter “completare alcuni importanti progetti che ho iniziato, in particolare il documento sulle riforme necessarie a rilanciare l’Europa, che sto preparando insieme al premio Nobel Joseph Stiglitz”.
Niente da fare. L’assemblea della Feps si è effettivamente spaccata, come pronosticato dall’ex diessino, ma gli ha votato contro per 22 a 15. Il renziano di Basilicata Gianni Pittella, lo ha ringraziato beffardamente per “l’eccellente lavoro svolto”. La nuova presidente è la portoghese Rodrigues, Baffino potrà tornare a tutti gli effetti di occuparsi di politica nazionale.
Ieri, peraltro, il suo nuovo partito Articolo 1 ha ufficializzato una copiosa campagna acquisti: in 104 tra dirigenti e amministratori lasciano il Pd per aderire alla creatura di Bersani e compagni. Succede in Salento, terra dalemiana per eccellenza.