Carlo Petrini su La Repubblica aveva anticipato il gravissimo pericolo incombe su di noi, denunciato dalle proteste in piazza a Montecitorio del 5 luglio: la firma del trattato di libero scambio Europa-Canada, Ceta. Infatti lo sciagurato Canada, bieco paese iperliberista, ha una normativa omicida sui cibi che propina ai suoi ignari sudditi. Tutto il contrario del bravo protezionista Donald Trump che si è affrettato a cancellare il corrispondente trattato Ttip Europa-Usa. In Canada sono consentiti veleni di ogni tipo, sostiene Petrini: i loro governanti hanno concesso ben 100 sostanze tossiche che da noi sono vietate. I poveri canadesi infatti muoiono come mosche, e presto si estingueranno. Stessa sorte toccherà agli europei che importeranno questi cibi, che ovviamente costeranno molto meno proprio a causa della fraudolenta assenza di vincoli all’uso di sostanze micidiali. I nostri agricoltori invece, ligi ad una normativa giustamente severa, soccomberanno alla concorrenza truccata.
Ma i canadesi hanno anche un’altra colpa imperdonabile, dicono gli anti-Ceta: sono più efficienti, hanno una elevata meccanizzazione e lotti di terre a coltivo enormemente più estese. Poi magari sfruttano anche loro i lavoratori agricoli, chissà cosa ci nascondono. La cosa non è tollerabile, la nostra inefficienza relativa va difesa con ogni mezzo.
Quest’ultimo argomento, a pensarci, è veramente fantastico: tra due produttori in generale uno è più efficiente dell’altro e quello meno efficiente troverà sempre mille motivazioni per giustificare la sua minore efficienza. Quindi l’apertura dei mercati va proibita proprio per un principio economico. E forse il problema si pone anche a livello nazionale: la Lega infatti aveva provato per l’Expo di Milano a porre un vincolo sulla distanza di provenienza ai materiali da costruzione. Non glielo hanno consentito, ma l’ideologia è la stessa, e in rapida diffusione.
La nostra agricoltura è molto generosamente sussidiata, occupa in modo diretto pochissima gente e inquina più dei trasporti (oltre l’aria, anche l’acqua, che consuma e spreca in modo esorbitante). Se ne perdiamo un po’ di quella estensiva, la più sussidiata e inquinante, forse non è una tragedia, e far tornare le “battaglie del grano” di mussoliniana memoria non sembra un’idea geniale.
Dicono gli anti-Ceta, l’apertura dei mercati tende ad abbassare i prezzi dei prodotti agricoli di base. Anche lasciando da parte la questione che questi prodotti spesso arrivano da Paesi molto più poveri dei nostri (il riso in particolare), che soltanto questo hanno da venderci, emerge un altro problema sociale. A chi in Italia interessa di più avere prezzi bassi dei prodotti alimentari di base? Ai ricchi o ai poveri?
Certo, il protezionismo è sempre stato capace di trovare mille pretesti e mascherature, ma questo nostro più recente, che si ammanta, oltre che di Patria, di ambientalismo e di socialità, appare particolarmente poco simpatico.