di Alessandra Sardoni
Accusati di essere troppo inclini alla semplificazione, superficiali e faziosi. Di accendere wrestling verbali fini a se stessi o di prestarsi a piaggerie ed esibizioni di contiguità tra giornalismo e politica, i talk show sono già da qualche anno il bersaglio delle critiche e anche delle autocritiche di sistema. Gli analisti ne hanno fotografato il progressivo calo di pubblico corrispondente tuttavia ad un’innegabile e continua proliferazione nei palinsesti. E soprattutto inversamente proporzionale alla diffidenza o al fastidio di quegli stessi politici e amministratori che pure sono destinati ad affollarli in ragione della personalizzazione della politica (e del giornalismo) e del progressivo indebolimento dei partiti.
Nel corso di sabato 15 luglio “Cosa resta dei talk show”, nella redazione de Il Fatto Quotidiano, cercheremo soprattutto di scoprire i meccanismi dei talk show, di capire come funzionano nelle diverse prospettive: quella di chi li guarda, quella di chi li costruisce – autori, conduttori, curatori del “casting” – quella di chi, gli ospiti, vuole a diverso titolo e con diversi obiettivi esserne protagonista.
Sarà mostrata l’evoluzione dei talk, dal ventennio berlusconiano alla stagione dei tecnici fino al renzismo, i diversi gradi di contaminazione con l’intrattenimento e i loro effetti sulla politica e/o l’amministrazione o sui contesti in cui agiscono; e ancora l’incrocio con le categorie dell’antipolitica o di quello che, nella cultura televisiva anglosassone, si chiama spiral of cynicism.
Alcune simulazioni interattive aiuteranno a svelare il rapporto con portavoce, consulenti di immagine, sondaggisti. E a capire confini e limiti dell’inevitabile (e trasversale e diffusa) negoziazione con queste figure professionalizzate della comunicazione politica.
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Vi aspettiamo!