Testa e piedi buoni. Per fare il trequartista nel calcio ci vuole questo. Solomon Nyantakyi possedeva entrambi in buona quantità. Dal Ghana in Italia a 8 anni con mamma Nfum e il fratello Raymond più grande di quattro anni. A Parma li aspetta papà Fred. Col tempo nascerà anche Magdalene. Il calcio è gioco. Lo è per Solomon ma solo all’inizio, poi diventa professione, presto si trasforma nel sogno di sfondare in Serie A, magari nel Milan. Uno scudetto se lo porta a casa nelle giovanili del Parma. Poi le convocazioni, diverse ma mai un minuto giocato, in prima squadra alla corte di Roberto Donadoni. La società è sull’orlo del crac finanziario. Solomon pensa solo a giocare.
Ma quel sogno si spezza. Niente più prima squadra. Altre ne verranno, sempre minori, fino all’Imolese, roba da serie D. E allora, probabilmente, qualcosa nella testa si inceppa. La depressione s’insinua maledetta. Poi la droga, forse. La fragilità dei 21 anni che è bello avere ma non è facile sostenere. Tutto questo o anche altro, traghetta Solomon nella sua casa nel quartiere multietnico di via San Leonardo. Quinto e sesto piano, martedì pomeriggio. Le 14 appena passate. Le telecamere fissano l’ora del massacro. Perché tale è stato quello Nfum e Magdalaene. Per Solomon solo rabbia cieca, “irrefrenabile” dicono i poliziotti giunti sul posto. Colpisce ovunque, decine le coltellate, il sangue arriva ai muri, due le armi: un coltello da cucina e una mannaia. La Scientifica sul posto fa fatica a muoversi per non contaminare la scena del crimine. Succede nel pomeriggio.
Una vicina sente Magdalene che urla: “Aiuto”. Poi più nulla. Silenzio e porta chiusa. Che fa Solomon? Forse aspetta o contempla con volto ebete la sua azione omicida. Certo poi scappa. I corpi restano lì inermi. Nfum Patience, 45 anni e Magdalene Nyantakyi, 11 anni, sono quasi irriconoscibili, sfigurati da una violenza cieca e assurda. Magdalene, la sorellina che “rideva sempre”, che “era simpaticissima”.
La sorellina di cui parla Solomon in un vecchio video. Capelli arricciati, tuta d’ordinanza. Racconta il suo arrivo in Italia, i suoi esordi, la sua passione per il calcio. E poi ricorda “la sorellina che è nata qua”. Lo fa con orgoglio quasi. Da allora a oggi, tutto è cambiato, franato, dissolto. Solomon si è perso. Martedì fugge. Per ore il delitto resta nascosto nella penombra estiva. Fino alle 21 quando Raymond rientra dal lavoro e scopre il disastro. Il fratello è già verso la stazione, il cellulare è spento, il sospetto, a quel punto, diventa quasi una certezza. A quell’ora scatta l’allarme. La notizia glaciale raggiunge anche papà Fred che sta a Londra per lavoro e che ieri è rientrato a Parma. Le telecamere sono decisive. Seguono Salomon in stazione a Parma, lo riprendono salire su un treno per Milano. I dati viaggiano rapidi da Polfer a Polfer. In Stazione centrale, ieri, poco prima di pranzo Solomon finisce la sua fuga. Cammina lungo il binario, si nasconde il volto con un braccio, un agente lo nota, scatta il fermo. Capelli rasati, maglietta scura e jeans. Non parla. Solo dice: “Sono stato io”. Confessione piena e arresto.
Storia chiusa per niente. Non c’è movente, spiega Antonio Rustico, procuratore di Parma. Ma forse nemmeno serve un movente per raccontare un delitto “efferato, agghiacciante, orribile”, maturato in un “contesto normale, non problematico”. E allora ecco di nuovo i morsi della depressione. “In un anno lo sentii parlare due volte. Sapevo dei suoi problemi, e l’ho chiamato in Lega Pro un anno fa. Ma dopo quindici giorni di ritiro è voluto andare via, gli mancava la famiglia”. Lo racconta Cristiano Lucarelli, ex centravanti coraggioso, che Solomon, testa e piedi buoni, lo ha allenato nelle giovanili del Parma.