Un avvocato amministrativista esperto di diritti dei migranti è stato denunciato per Vilipendio della Repubblica per aver criticato – con garbo e fermezza – i decreti Minniti-Orlando. Quelli che prevedono i lavori socialmente utili per chi richiede asilo (Minniti deve aver pensato: “Se questi immigrati vogliono integrarsi in Italia, bisogna che si abituino a lavorare gratis come fanno tutti”) o che fanno saltare il principio dell’uguaglianza davanti alla legge, privando i richiedenti asilo e protezione del diritto all’appello (un’idea geniale per velocizzare i processi! Invece di destinare più risorse ai Tribunali – tipo più dei 400 euro al mese che attualmente guadagnano le migliaia di precari che mandano avanti gli uffici giudiziari – Orlando ha pensato di eliminare i gradi dei processi. E poi, alla prima intervista, dare lezioni di garantismo al mondo).
Gianluca Dicandia era stato invitato da Amnesty al presidio per la giornata mondiale del rifugiato, lo scorso 20 giugno al Pantheon, per illustrare i possibili profili di incostituzionalità dei due decreti. Lo ha fatto, osservando che il decreto Orlando contrasta con alcuni dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico: il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento assicurato dall’art. 24 della Costituzione e il diritto al contraddittorio previsto dall’art. 111 e leso “poiché per i richiedenti asilo non sarà più garantita l’audizione da parte del Giudice”. Che l’articolo 113 non ammette in nessun caso che vengano limitati i mezzi d’impugnazione contro un provvedimento amministrativo, che il 111 stabilisce che ognuno abbia diritto a un giudice terzo e imparziale e che “le commissioni territoriali che assurgono a tale compito, essendo organismi interni alla pubblica amministrazione, non lo sono”. Ha osservato che “è incostituzionale un processo senza udienza, senza partecipazione, senza avvocati, come quello previsto dal decreto”. Ha aggiunto che la domanda di sicurezza da parte dei cittadini c’è ma che i cittadini si sentono al sicuro se hanno una casa, un lavoro, l’assistenza. Se ci sono servizi, non se c’è il decoro urbano o il Daspo per chi per protesta blocca una piazza come previsto dal decreto Minniti.
Per questo, deposto il megafono, è stato avvicinato da agenti in borghese e identificato, circostanza che aveva portato a ben tre interrogazioni parlamentari – da parte di Sinistra Italiana, Mdp e dello stesso Pd – alle quali Minniti non ha risposto. Ora Dicandia è accusato di Vilipendio e Resistenza a pubblico ufficiale “pur non avendone fatta alcuna”, racconta e confermano i testimoni.
“Mi sono messo a studiare le sentenze sul vilipendio, quasi tutte risalenti agli Anni Settanta”. L’articolo 290 del codice di procedura penale prevede una sanzione fino a 5 mila euro per chi osa vilipendere il governo o le assemblee legislative ma, essendo le stesse vilipese ogni giorno dai propri membri che si menano e si insultano per far finta di farsi opposizione, ultimamente si tende a soprassedere, o verrebbero multati per primi in blocco deputati e senatori. “Le sentenze riconoscono il diritto a criticare anche aspramente, nel merito, l’operato del Governo”. Resta però l’intimidazione, un avvertimento per tutti: “Io sono un avvocato e posso difendermi, ma se a criticare Minniti fosse stato un ragazzo, un operaio, una persona qualunque costretta a pagare le spese legali per vedersi assolto?”. Quanti avranno ancora il coraggio – e la possibilità economica – di criticare il governo?