Nella vicenda di Punta Canna l’attenzione mediatica si è comprensibilmente concentrata sugli aspetti offensivi e grotteschi (l’apologia del fascismo del duce balneare Gianni Scarpa) tralasciando il messaggio politico più insidioso condensato nel cartello pedagogico che recita: “In un paese devastato da ladri istituzionali e maleducati qui ci sono le regole che mancano, ordine, pulizia , disciplina, severità”. Nel mondo a parte che l’Italia democratica e antifascista si rifiuta di frequentare quelle parole sono senso comune e suscitano approvazione. Parliamo delle fiaccolate che divampano da Nord-est a Nord-ovest ogniqualvolta si annunci l’arrivo di extracomunitari richiedenti asilo o irregolari. E non importa se molti o pochi ma per questioni diciamo così di principio (immigrati fora dai ball). Parliamo del cosiddetto popolo della popolare Zanzara, su Radio24, che ogni pomeriggio scatena gli istinti peggiori contro extracomunitari, rom, ebrei, comunisti gay e assimilati, straordinaria materia di studio per comprendere “il presente che nutre il fascismo” (Nadia Urbinati su la Repubblica).
Parliamo della realtà che formicola sotto la superficie della Repubblica nata dalla Costituzione, un’Italia che per mille motivi si sente calpestata e che ricicla simboli del passato anche i più abietti con la stessa voluttà di chi spacca a sassate le vetrine per lasciare comunque un segno. Un’Italia sporca, brutta e cattiva che a lungo andare potrebbe riservarci qualche non gradita sorpresa, come è accaduto all’America che ha portato in braccio Donald Trump alla Casa Bianca.
Da questa sommaria lista abbiamo volutamente escluso le forze cosiddette “populiste” come la Lega di Matteo Salvini e i 5Stelle per la semplice ragione che pur coltivando con diversa intensità xenofobia e cultura antimoderna rappresentano, ancora, dentro le istituzioni, un argine e insieme un filtro alle pulsioni più allarmanti della crescente rabbia collettiva. Ecco perché certamente animato dalle migliori intenzioni il ddl Fiano che inasprisce le sanzioni contro i comportamenti apologetici del fascismo appare come una medicina tardiva e inefficace. Come sempre accade quando si tenta di colpire gli effetti e non le cause della malattia.
Il fascismo del presente, del resto, vive e lotta a pieno titolo nelle istituzioni democratiche. Quelli del movimento di CasaPound, per esempio, autoproclamatisi “fascisti del terzo millennio”, nella tornata amministrativa di qualche giorno fa hanno colto un lusinghiero successo a Lucca (quasi l’8%) e per un soffio non ha determinato l’elezione a sindaco del candidato del centrodestra. Bissando così il 6% dell’anno scorso a Bolzano (da uno a tre consiglieri) dove addirittura hanno sperimentato prove di dialogo col Pd. Per non parlare di Monza dove l’altro ieri è stato nominato un assessore del movimento neonazista LibertàAzione.
Perciò vorremmo chiedere pacatamente a Fiano come sia possibile oggi impedire ai corpi militarizzati di Casa Pound di esibire labari e braccia tese nelle sfilate per le strade di Roma o di Milano quando proprio predicando ordine, pulizia, disciplina, severità, ovvero i medesimi “valori” del camerata con la bandana di Chioggia stanno in modo del tutto legittimo raccogliendo vasti consensi tra gli elettori? Ha un senso chiudere la stalla quando i buoi sono scappati da quel dì, e ci riferiamo ai tanti giovanotti e giovanotte che in quei lugubri raduni inneggiano al duce senza averne la minima cognizione storica, mossi esclusivamente dall’impulso di sputare sulla democrazia come se fosse un app da cancellare sull’iPhone. Intollerabile certo, ma esattamente come risulta insopportabile la solita frase fatta che accompagna i rituali dibattiti “sul ruolo della scuola che dovrebbe educare i giovani al rispetto della memoria”.
Al che per reazione uno davvero diventa fascista anche se non vuole. È chiaro a tutti che il fascismo contemporaneo si nutre anche dei problemi lasciati per troppo tempo a marcire dalla democrazia, che esso cresce e prospera sullo sputtanamento progressivo della politica, sulla distruzione del lavoro, sulle guerre infinite tra i poveri italiani e gli immigrati ancora più disperati, sulla solitudine esistenziale che alligna sulle “macerie dell’etica comunitaria” (Urbinati).
Ma soprattutto la voglia di un “uomo forte” è come un pugno sul tavolo davanti all’ossessiva coazione a ripetere che ogni sera ci giunge dagli schermi televisivi. Finché capita che Vittorio Feltri interpellato per la milionesima volta sulla questione che mai sarà risolta dell’immigrazione prorompa in un liberatorio: “Basta non ne posso più” e se ne vada a cena. Che fu in fondo lo stesso grido esausto con cui la democrazia liberale esalò l’ultimo respiro prima dell’avvento del bagnino Benito.