Trump ci è sembrato subito molto diverso da ogni altro suo predecessore, buono o cattivo, quando è diventato presidente degli Stati Uniti… Abbiamo commesso l’errore di confrontarlo con la tradizione, a volte fittizia, spesso convinta e condivisa, secondo cui la vera misura della potenza sono alleanze e amicizia. Abbiamo pensato che valesse ancora la persuasione che ci sono dei limiti nel tenere a bada l’avversario (anche attraverso un certo rispetto) per non rischiare il conflitto.
La clamorosa novità di Trump è stata di respingere subito e in modo aggressivo tutto ciò che gli veniva offerto dal mondo di prima. Ha sùbito fatto sapere che rifiutava la vestizione da leader benevolo del mondo, e che non sarebbe mai stato un presidente buono, protettivo e preoccupato di giustizia, anche al di fuori dei confini del suo Paese, pronto a difendere dovunque i diritti umani e civili dei tanti che, per questo, avevano fiducia nell’America.
Naturalmente mi riferisco all’immagine voluta e cercata dalla tradizione americana attribuita ai presidenti americani del dopoguerra, e non sto discutendo la storia. Comunque Trump ha rovesciato la narrazione: non ha Paesi amici, non vuole averne. Se necessario ne parla con disinteresse o disprezzo. Ha prontamente screditato le alleanze, ha lasciato che si intravedessero rapporti amichevoli e segreti con Paesi potenti e rivali.
Ha disorientato il suo Paese e i paesi legati agli Usa, e provocato, forse, una grave questione giudiziaria. Ha inoltre dimostrato di avere preparato una lista di Paesi inaccettabili (nel senso che i cittadini di quei Paesi sarebbero stati inaccettabili in America, individualmente e come popolo, in quanto islamico). Ha annunciato un isolamento improvviso del suo grande Paese (che possiede ed è posseduto da mezzo mondo) con lo slogan “America first”, che in realtà si legge: “America alone”, una frase che sembra di orgoglio e descrive invece un grave danno in un mondo irreversibilmente globalizzato.
Ha aggiunto l’iniziativa, del tutto nuova, fatta senza schermi diplomatici, alla luce del sole, di spaccare e contrapporre parti del Medio Oriente (Riad e Teheran), e producendo a catena la spaccatura di molte altre, privandosi della capacità di mediare che spesso è stato diritto e dovere degli Usa.
L’impegno di Trump ad apparire ostile quasi senza eccezioni è apparso subito una strana e non facilmente spiegabile linea politica, per un Paese di grande potenza. Il disprezzo per le alleanze, anche offerte e volontarie, una nota stridente nella storia americana, hanno segnato una sequenza unica, qualcosa che non c’era nella storia americana. Anche perché a momenti torna a riemergere, da indagini, di cui non si conosce ancora la profondità e la pericolosità, l’inspiegabile rete di rapporti, a tanti livelli, di coinvolgimento del potere russo nelle elezioni americane. È qui, a questo punto, che l’inaspettata iniziativa di Macron cambia la scena.
Trump viene invitato a festeggiare insieme il 14 luglio francese, dunque tutti i valori che il nuovo presidente aveva negato e respinto. Macron fa di più. Riceve, saluta, onora, accompagna Trump attraverso i vari eventi di Parigi, come se fosse un normale presidente americano, e benevolmente lo costringe a celebrare, con soldati e bandiera americana, un grande ed eroico impegno per la libertà degli altri popoli che Trump aveva già annunciato di rifiutare d’ora in poi per sempre perché “America first” richiede che tutto sia solo per il tornaconto dell’America (al punto da denigrare la Nato come istituzione obsoleta).
Trump e signora pretendono di ignorare che, sotto la testata del Washington Post, da quando Trump ha giurato, compare ogni giorno la frase “La notte è scesa sulla Repubblica”. Trump, sempre scortato dalla moglie gelida, sorride o ride impacciato, fa le gaffe naturali del tipo di americano come lui, a cui, fuori dagli affari, non interessa niente, eventi, personaggi, cultura. La finta ingenuità di Macron, che dichiara Francia e America “unite per sempre”, costringe Trump il buono a marciare con lui su Parigi.