Ancora oggi, l’ottuagenario Silvio Berlusconi evoca suggestioni erotiche, a luci rossissime. Dice a microfoni spenti un ex ministro, sornione, informato e decisamente volgare: “Qui ormai è una gigantesca apertura di cosce, una continua corsa ad offrirsi al Cavaliere”. Dove per “qui” s’intende il Senato, luogo nevralgico e decisivo di questa infinita legislatura. Un altro ex ministro, Gaetano Quagliariello, consegna invece all’Huffington Post un’efficace metafora autostradale: “Il controesodo verso Berlusconi è da bollino rosso ormai”.
È il controesodo dei cavalli di ritorno berlusconiani. Direzione unica e sola: Forza Italia. Gli scissionisti, alfaniani o verdiniani che siano, che adesso chiedono di rientrare, con la speranza, remota assai a dire il vero, di riottenere un seggio al prossimo giro. Berlusconi però frena, e spiegheremo perché: “Non tocchiamo nulla altrimenti casca tutto e si va a votare subito”. Il primo gruppo che sembra sciogliersi in questo caldo di luglio è Area Popolare, composta perlopiù dagli alfaniani di Ncd. L’ultimo avvistato dalle parti azzurre è il decano di Palazzo Madama: Francesco Colucci detto Ciccio, 85 anni. Colucci è stato eletto la prima volta in Parlamento che era il 1972, preistoria allo stato puro. Da uomo previdente ed esperto – è stato socialista – si è convinto che per sedere di nuovo qui l’unica strada è il ritorno da Berlusconi. Dicono: “Ciccio ha un filo diretto con il Cavaliere”. Degli altri alfaniani irrequieti si mormora da giorni e le loro faccine sono sui quotidiani: Roberto Formigoni, il sottosegretario Massimo Cassano, Pippo Pagano, Guido Viceconte. Anche per questo, raccontano da Ncd, ieri Angelino Alfano è stato costretto in un’intervista a dichiarare chiusa la collaborazione con il Pd. Una mossa disperata per fermare l’emorragia, provocata dall’annuncio del ministro Enrico Costa di abbandonare il governo per tornare al centrodestra primigenio. Ma gli abboccamenti, le manovre, le richieste d’incontro continuano a essere incessanti e lambiscono ovviamente l’altro ramo del Parlamento, la Camera, dove gli ambasciatori filoberlusconiani di Ap, in costante contatto con Niccolò Ghedini, segretario ombra di Forza Italia, sono Maurizio Lupi e Luigi Casero.
Il caos è talmente grande che s’incorre pure in qualche svista. “Tenete d’occhio Bilardi”, avvertono con frenesia da Palazzo Madama. Un rapido riscontro e si scopre che Bilardi, che è senatore e di nome fa Giovanni, ha però mollato Ncd già da un po’ ed è nel gruppo messo su dal citato Quagliariello che, guarda caso, si chiama Federazione della Libertà, che include per esempio anche Luigi Compagna e Carlo Giovanardi. Questi gruppi sono una sorta di hotspot per i senatori che si sono ricreduti, veri centri di prima assistenza per chi fa il viaggio di ritorno verso il berlusconismo. Un altro gruppo-hotspot potrebbe nascere a breve con la paventata diaspora dei verdiniani di Ala.
Da quando il renzismo si è sgonfiato, una delle prime fatali conseguenze è stata quella di far tramontare l’astro lucente e guascone di Denis Verdini, teorico del Partito della Nazione. Così i verdiniani di Ala si stanno guardando in faccia, muti e interrogativi, per capire cosa fare. L’eterno magnetismo berlusconiano potrebbe calamitare vari volti della pattuglia campana: Langella, Eva Longo, Ciro Falanga. L’unico a non porsi il cruciale quesito è Vincenzo D’Anna, vulcanico filosofo liberale: “Non mi fiderei di Berlusconi nemmeno se fosse in punto di morte. Ci ha raccontato tante di quelle palle che non gli crederò mai più. Questa storia dell’esodo non mi interessa e non mi risulta e se Ala scenderà sotto i dieci (numero necessario per fare un gruppo al Senato, ndr) io tornerò da dove sono venuto, nel gruppo del Gal”. Ma Falanga smentisce ogni contatto: “Non è vero nulla, si ricama sul fatto che sono un liberale di centrodestra e che spesso voto come vota Forza Italia”.
La smentita di Falanga e il fenomeno dei gruppi di transito, gli hotspot del Senato, fanno emergere il nodo di queste convulse ore: la prudenza di Berlusconi nei confronti di questo controesodo che coinvolgerebbe pure l’ex leghista Flavio Tosi. Non è solo questione di seggi nella prossima legislatura ma anche e soprattutto di tenuta del governo Gentiloni. È l’ennesimo paradosso berlusconiano: far aumentare la forza numerica di Forza Italia al Senato significherebbe rendere fragile la maggioranza che sostiene il premier. E l’ex Cavaliere non vuole nulla di tutto questo: né essere costretto a votare per Gentiloni, né al tempo stesso andare al voto anticipato. Meglio quindi lasciare tutto così com’è. Al resto ci penserà il generale agosto.