Un aumento generalizzato e consistente dei pedaggi autostradali incombe come la nuvola di Fantozzi sulle teste degli automobilisti. Per alcune tratte la stangata potrebbe arrivare fino al 10 per cento circa, come nel caso dell’Autostrada dei Parchi del gruppo Toto, il concessionario che ha innescato la bomba. La Roma-Pescara che costa 20 euro e 20 centesimi potrebbe salire a oltre 22, la Roma-Teramo da 17 euro e 50 potrebbe sfiorare i 20. È stato proprio il gruppo Toto ad avviare un’azione legale al Tar del Lazio contro il blocco delle tariffe deciso nel 2014 dal ministro dei Trasporti di allora, Maurizio Lupi, elaborato dal Responsabile della Direzione ministeriale che vigila sulle concessioni autostradali, Mauro Coletta, e ribadito negli anni seguenti dal successore di Lupi, Graziano Delrio. La Terza sezione del Tribunale amministrativo del Lazio ha dato ragione a Toto con una sentenza di 12 pagine molto chiara e molto dura nei confronti del ministero.
Il Tar riconosce al concessionario dell’Autostrada dei Parchi il diritto di recuperare attraverso un aumento dei pedaggi gli incassi persi nel 2015, 2016 e in parte del 2017 e ingiunge al ministro Delrio di riparare in 30 giorni il guaio combinato. Passato quel breve lasso di tempo il ministro sarà messo da parte, sostituito da un Commissario ad acta delegato dal Ragioniere generale dello Stato “affinché provveda a quanto statuito, in sostituzione del Ministero, ove inottemperante”. La sentenza riguarda il gruppo Toto, ma è chiaro che vale anche per tutte le altre concessionarie, dalla famiglia Gavio che gestisce le autostrade liguri e del Nordovest a Autostrade per l’Italia (Aspi) del gruppo Benetton che controlla l’Autostrada del Sole e altri 2 mila chilometri circa, dalle Autovie venete fino alla A22 del Brennero.
In ballo ci sono centinaia di milioni di incassi non riscossi dalle società e che ora i concessionari avranno il diritto di rivendicare. È chiaro che gira e rigira alla fine sarà scaricata sugli automobilisti al casello la rogna di far tornare i conti e per loro è un bel guaio. Ma è un affare serio anche per i ministri interessati e per il dirigente Coletta che ha messo nero su bianco il blocco delle tariffe e che secondo indiscrezioni insistenti potrebbe lasciare a giorni il suo incarico. Tutti potrebbero essere chiamati a rispondere di danno erariale perché una parte dei mancati incassi sarebbe stata di pertinenza dello Stato in termini di tasse sui pedaggi e di altri introiti previsti dalla legge.
La storia comincia nell’inverno 2014, Lupi ministro. Con un colpo a effetto, di fronte alla crisi dilagante, Lupi stabilì che le tariffe autostradali fossero congelate, cioè che potessero crescere tenendo conto solo del tasso di inflazione programmato e venissero ignorati gli altri due parametri contrattualmente usati per la determinazione dei pedaggi. E cioè la remunerazione degli eventuali investimenti effettuati l’anno precedente e la “congrua remunerazione della concessione”, calcolata con una specie di formula alchemica. In separata sede ai concessionari il ministro promise che il sacrificio richiesto sarebbe stato breve e che nel giro di 6 mesi al massimo le cose sarebbero state rimesse a posto. Nel frattempo, però, il patto cadde: sfiorato dallo scandalo delle Grandi opere, Lupi a marzo 2015 si dimise.
E il suo successore Delrio, appoggiandosi su Coletta si dimostra forte con i deboli e debole con i forti. Il ministro si prodiga per compensare i concessionari più influenti: si spende con l’Europa per allungare di 4 anni la concessione ai Benetton per un valore di oltre 15 miliardi di euro in cambio della costruzione del sistema di autostrade chiamato Gronda di Genova che vale 4 volte di meno. Ai Gavio idem: allungamento della concessione concordato con l’Europa in cambio del completamento della Asti-Cuneo. Per le Autovie Venete e la A22 la proroga proposta da Delrio è addirittura di 30 anni, ma in questo caso l’Europa si oppone. L’Aiscat, associazione dei concessionari, controllata da Benetton e Gavio neanche fiata contro il blocco delle tariffe. Tagliato fuori da tutto, Toto invece reagisce da solo, ricorre al Tar e vince.