Suscita un grande scandalo la buonuscita da 25 milioni di euro per Flavio Cattaneo, ormai ex amministratore delegato di Tim. Un’indignazione di cui non c’era traccia sui giornali quando Cattaneo, poco più di un anno fa, negoziava il suo compenso. Perché in Italia l’approccio al problema degli stipendi è sempre lo stesso: si ignorano le dinamiche che portano ai maxi-stipendi o alle maxi-liquidazioni, ci si indigna un paio di giorni (vi ricordate i 9,4 milioni a Mauro Moretti, cacciato da Leonardo-Finmeccanica?), si discetta di etica e mercato e poi, magari con una rapida citazione di Papa Francesco, si passa oltre.
Monica Maggioni ha dichiarato che la Rai non poteva sopravvivere all’addio di Fabio Fazio. E quindi era giusto pagargli 11 milioni. Nessuno ha mai saputo se ci fossero davvero offerte concorrenti e come sia stato calcolato quel compenso. Andrea Guerra, come ha calcolato Vittorio Malagutti sull’Espresso, ha incassato 170 milioni in due anni da Luxottica, prima di andarsene per dissidi col fondatore Leonardo Del Vecchio. Un manager che ha mercato va pagato a prezzi di mercato, si diceva. Ma dov’è questo mercato? Dopo aver lavorato gratis a palazzo Chigi, con risultati misteriosi, oggi Guerra guida Eataly, il suo talento non ha impedito alla società fondata da Oscar Farinetti di chiudere il bilancio in rosso di 11 milioni, perché senza gli aiutini degli appalti Expo senza gara sparisce l’utile. E come ha fatto Cattaneo a negoziare oltre 40 milioni per un anno e mezzo di lavoro? Quale azienda è così folle da stabilire incentivi di lungo periodo (che dovrebbero allineare gli interessi dell’ad e quelli dei soci) incassabili in pochi mesi?
Questi eccessi si possono prevenire in un modo solo: tutelando gli azionisti di minoranza (quelli di Tim, quelli della Rai, che siamo noi contribuenti, quelli di Luxottica). Stipendi da decine di milioni non possono essere decisi da azionisti con una maggioranza solo relativa (Vivendi ha il 24% di Tim). Perché non sono soldi loro. Meglio prevenire, visto che la cura non c’è.