Da una parte una tormentata incompatibilità parentale, che ha riguardato Federico Cafiero de Rhao, dall’altra l’inopportunità politica, che ha riguardato Giovanni Melillo. Alla fine il Csm ha deciso che si poteva soprassedere sull’inopportunità politica, forte di un’assenza di norme e ha scelto come procuratore di Napoli Melillo, sostituto pg di Roma ma fino ai primi di marzo il capo di Gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando, soprannominato il ministro ombra di via Arenula, almeno fino a quando i rapporti con il Guardasigilli sono diventati complicati.
Classe 1959, Melillo, insieme a Paolo Mancuso è stato il pm che negli anni ‘90, ha raccolto le confessioni del pentito Pasquale Galasso e i rapporti con la Democrazia Cristiana. Cafiero è stato pm al processo Spartacus contro il clan dei Casalesi, oggi è procuratore di Reggio Calabria. Entrambi con un lungo passato alla procura partenopea, anche come coordinatori della Dda anticamorra, entrambi ex sostituti alla Dna, di cui Cafiero dovrebbe diventare il capo, persa questa partita. Nessun fuori ruolo per lui mentre Melillo è stato pure al Quirinale durante la presidenza Ciampi. Nominato con 14 sì contro i 9 per Cafiero, Melillo diventa il capo della procura più grande d’Italia, tra le più difficili e con una grossa rogna: l’inchiesta Consip, politicamente sovraesposta, che si porta dietro anche le varie grane per i pm titolari del fascicolo Henry John Woodcock e Celestina Carrano. Dovrà anche affrontare l’inchiesta sulle primarie locali del Pd, il partito di governo per il quale ha lavorato come capo di Gabinetto.
Hanno votato per Melillo tutti i laici, ad eccezione di Alessio Zaccaria di M5s (astenuto) i capi di Corte Pasquale Ciccolo e Giovanni Canzio, che ha difeso Melillo: “No alla delegittimazione di servitori delle istituzioni” come è successo a “Giovanni Falcone”. Determinanti i voti di Area, la corrente di sinistra della magistratura che è stata l’ago della bilancia in questa partita durata mesi: 5 hanno votato per Melillo, disattendendo la linea “politica” del gruppo dirigente contrario per motivi di opportunità e 2, Ercole Aprile e Piergiorgio Morosini per Cafiero, così come i 5 consiglieri di Unicost (togati centristi) e due su 3 di Magistratura Indipendente (con l’eccezione di Claudio Galoppi).
Convinti che Melillo sia l’uomo giusto al posto giusto i due togati di Area che provengono proprio da Napoli: Antonello Ardituro e Lucio Aschettino (contrari a Melillo ai tempi della corsa per la procura di Milano). “La scelta è stata mossa – ha detto Aschettino – dall’obiettivo di nominare il candidato più idoneo per il funzionamento della procura, una valutazione che va depurata da elementi metagiuridici e suggestivi sia sulla incompatibilità parentale sia sulla inopportunità politica”. Astenuto il togato Aldo Morgigni, di Autonomia e Indipendenza (la corrente di Davigo) perché, come Zaccaria, contrario a entrambi i candidati per le diverse incompatibilità.
Al netto delle valutazioni professionali, ottime per entrambi, la incompatibilità parentale di Cafiero (un figlio penalista a Napoli con il quale non ha rapporti da 20 anni ha fatto sapere il magistrato) ha pesato solo per una parte dei consiglieri pro Melillo. Sui componenti laici, si vociferava dentro il Csm hanno influito considerazioni politiche: a torto o a ragione Melillo è stato ritenuto più rassicurante per il potere, anche se qualche pm della procura di Napoli è convinto, conoscendolo, che con il “caratteraccio” che ha nessuno può dargli “suggerimenti” su cosa fare o non fare. Il vicepresidente Legnini, come da consuetudine, non ha partecipato al voto ma ha respinto “le illazioni su pressioni interne e esterne” tanto che la nomina, ha aggiunto, è stata segnata da un dibattito lungo e “aspro”. Melillo, però, se la legge passata alla Camera a fine marzo fosse stata approvata pure dal Senato, sarebbe stato tagliato fuori dalla corsa alla procura di Napoli per le norme stringenti anche sul rientro in magistratura di determinati fuori ruolo, come il capo di Gabinetto.