L’energia è lo strumento perfetto di politica economica: con piccoli interventi permette di muovere miliardi di euro ma nessuno è davvero in grado di capire cosa succede e i costi sono spalmati in modo così diffuso che pochi si lamenteranno. Quanto dibattito c’è stato, per esempio, sull’articolo 11 ter della legge europea approvata dalla Camera il 20 di luglio, che ora deve passare in Senato? Nessuno, eppure vale 1,2 miliardi di euro che invece di finire a noi consumatori di energia – famiglie e piccole imprese – andranno a pochi grandi gruppi.
Per anni tutti gli italiani hanno pagato lo sviluppo delle energie rinnovabili (e assimilate, cioè anche quelle inquinanti, ma questa è un’altra storia) con le loro bollette. Nel 2015 questa voce, A3, è arrivata alla cifra colossale di 13,8 miliardi di euro. Il bonus sociale per gli italiani che non riescono a pagare la bolletta, per dare l’ordine di grandezza, era 17 milioni. Il 23 maggio 2017 la Commissione europea ha approvato il piano del governo italiano di ridurre quegli incentivi e riformularli in modo da sostenere anche la competitività delle aziende, invece di dedicare tutte quelle risorse a un settore già cresciuto a dismisura con benefici ambientali discussi. La riforma scatterà dal primo gennaio 2018. E i risparmi sono consistenti, intorno ai 2,7 miliardi di euro all’anno dal 2016 al 2020, secondo le stime del Gse (il Gestore del servizio elettrico). A chi va questo “tesoretto” energetico?
L’emendamento – approvato – del deputato Pd Gianluca Benamati all’articolo 11 della legge europea stabilisce che il beneficio vada “dal primo gennaio 2018 e per un minimo del 50 per cento alla riduzione diretta delle tariffe elettriche degli utenti domestici e delle imprese connesse in bassa tensione”. E il resto? Alle imprese cosiddette “energivore”, quelle che “sul mercato interno e sul mercato esterno si trovano a combattere, ad armi non pari, in una situazione di scarsa competitività, perché consumando molta energia, costosa in Italia, si trovano in condizioni difficili”, così ha spiegato Benamati alla Camera. Tremila aziende e un milione di posti di lavoro, assicura il deputato, che vedranno il sostegno pubblico ai costi energetici passare da 600 milioni a 1,2 miliardi.
Il provvedimento è parlamentare ma coerente con la linea del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda che nei mesi scorsi era già riuscito a ottenere lo sblocco di 1,2 miliardi di agevolazioni per imprese energivore fermi da anni per contenziosi europei. Finché un’impresa che consuma tra i 70 e i 150 GWh all’anno paga in Italia tra i 75 e gli 87 euro per MWh e in Germania tra i 40 e i 45, ci sarà sempre un problema di competitività. E quindi il ministro ha scelto, senza mai nasconderlo, di usare la leva della bolletta: un po’ di sacrifici per famiglie e piccole imprese e un po’ di aiuti ai grandi gruppi. Il sacrificio è evidente: famiglie e piccole imprese avranno solo la metà dei risparmi sulla riduzione della componente A3, anche se pesano per il 52 per cento dei consumi e fino a oggi si sono fatte carico del 60 per cento della A3.
Il beneficio che arriverà, inoltre, rischia di essere eroso da altre tasse occulte che si stanno accumulando sulle bollette senza che nessuno protesti o se ne accorga. Per esempio con i certificati bianchi (Titoli di efficienza energetica, Tee): un’impresa può averli perché ottiene risparmi con tecnologie o sistemi efficienti, oppure li può comprare su un mercato apposito (sostenendo così il costo del proprio inquinamento eccessivo). Le imprese distributrici di energia elettrica e di gas naturale hanno obiettivi fissati dall’Authority. Il costo dell’efficienza, reale o simulata dal mercato, viene poi in gran parte scaricato sulla bolletta attraverso le componenti UC7 (elettricità) degli oneri di sistema e quella RE e REt (gas). Nel 2015 il sistema dei certificati bianchi è costato 600 milioni di euro, il loro costo sul mercato continua a salire, in tre anni è passato da circa 100 euro fino a 270. Secondo una stima del centro studi Cesef, anche se il prezzo continuasse a correre così, i clienti finali quasi non se ne accorgerebbero perché se il costo totale salisse da 600 milioni a 1,8 miliardi “il peso sarebbe pari allo 0,9 per cento dell’intera bolletta elettrica”. Come dire: si può rincarare senza problemi.
Sulle bollette poi pende ancora l’incertezza per le conseguenze delle maxi speculazioni del 2016 fatte da trader e produttori come Enel (che ha di fatto patteggiato con l’Autorità): invece di vendere la propria energia nel “mercato del giorno prima”, quello programmato, la tenevano per il mercato dei servizi di dispacciamento, dove la rete Terna ha meno potere contrattuale perché deve avere subito l’energia e paga prezzi più alti. Il risultato della speculazione viene poi scaricato in bolletta. Un affare da 2,3 miliardi di euro a spese di tutti. Mentre i rincari conseguenti sono stati per ora sospesi dal Tar, l’Autorità indaga sui colpevoli. Ma i clienti cui spettano i rimborsi per i pochi casi in cui le responsabilità sono state accertate cominciano a preoccuparsi: il termine per i risarcimenti è appena slittato da agosto a fine dicembre.