“Qui sto bene, benissimo”. Massimo Carminati, condannato a venti anni di carcere in primo grado nel processo al Mondo di mezzo, ha lasciato da dieci giorni il reparto 41 bis del carcere di Parma, avendo stabilito la sentenza della decima sezione del tribunale che a Roma non è esistita nessuna organizzazione definibile Mafia Capitale.
Il primo colloquio con la compagna
Adesso il Nero, il Samurai, Er Cecato, l’ex neofascista dei Nar amico della Banda della Magliana, trascorrerà la seconda parte di questa estate 2017 in Sardegna, nell’istituto penitenziario di Oristano, reparto Alta sicurezza. E in dieci giorni il mondo è già completamente cambiato per uno degli uomini più romanzeschi della recente storia criminale d’Italia. Non è più murato vivo, come lo è stato dal dicembre 2014 fino al 24 luglio scorso, costretto al regime di carcere duro dalle misure cautelari confermate da Riesame e Cassazione prima della sentenza di primo grado. E, adesso, può tornare a ricevere visite, ovviamente ha già avuto modo di vedere la sua compagna Alessia Marini, che è andata a trovarlo. Nei prossimi giorni toccherà ai suoi legali Giosuè Bruno e Ippolita Naso.
“Rispetto a Parma qui è un hotel a tre stelle”
Poi c’è il detenuto con cui divide la cella, non uno spazio angusto come a Parma, ma una stanza che “paragonata a quella sembra un albergo a tre stelle” racconta più che sollevato al colloquio telefonico col suo avvocato. “Qui sto bene, benissimo. Sto bene di spirito e di corpo: mi sono anche abbronzato”. Perché nella giornata di Carminati adesso c’è anche la socialità, dalle quattro alle sei ore nel cortile del penitenziario. A Parma era un’ora con un solo altro detenuto e una rete sopra la testa. Qui sono tanti. “Tutti cattivi eh, cattivissimi – dice ancora Carminati – Addirittura ho potuto rivedere Michele Senese. Ci siamo salutati”. C’è stata una stretta di mano e due chiacchiere. L’ultimo incontro documentato tra i due risaliva a quel 30 aprile 2013 quando, intercettati dal Ros dei carabinieri, Carminati e il vecchio boss della “nuova famiglia” della camorra si vedono a Roma per poi finire a parlare concitatamente e puntarsi il dito contro inveendo faccia a faccia. Michele Senese, mai condannato per mafia a Roma, tornerà dentro il 31 ottobre 2014, condannato in primo grado all’ergastolo e in appello a 30 anni per l’omicidio di Giuseppe Carlino, avvenuto nel 2001 a Pomezia, ucciso per vendicare l’assassinio del fratello Gennaro Senese.
Il nuovo incontro con ’O pazzo
Carminati e Senese ’O pazzo, vecchia storia. Si erano già frequentati in carcere, quattro anni dietro alle stesse sbarre per il processo alla Banda della Magliana. Quando nel 2013 Carminati incontra Senese – uscito dopo otto anni di detenzione – il Nero dirà di esser stato “felicissimo di vederlo in buone condizioni; ci siamo salutati, abbiamo parlato del più e del meno per un’oretta, credo”. E così, adesso i due “re di Roma” hanno la possibilità di scambiare ancora pareri sul più e sul meno anche per oltre un’ora. In cortile, mentre prendono il sole. “Mi sono pure abbronzato”, dice infatti felice Carminati, sollevato per il nuovo regime detentivo.
“A Seccaroni gli ho tolto soltanto il saluto…”
“È un carcere moderno, non è fatiscente, dopo trentadue mesi di 41 bis… ”. Ha il bagno a Oristano, con la doccia autonoma, non deve chiedere il permesso a nessuno se ha voglia di rinfrescarsi. E può comprare alimenti e cucinare. “Ero dimagrito, qui abbiamo i fornelletti, sto tornando a mangiare come si deve”. Non era già parso né sottotono né dimesso durante le udienze del processo Carminati, ma – a detta del suo avvocato – “ha recuperato tutta la sua verve, è molto contento per come è andato il processo alla fine. E il suo legale ha ottime aspettative per l’appello”, ride Naso. Sul processo il commento di Carminati è rivolto alla presidente del tribunale Rosanna Ianniello: “Lo ha condotto magistralmente. Solo una cosa m’infastidisce veramente, la condanna per l’estorsione a Luigi Seccaroni: il massimo che ho fatto è stato togliergli il saluto, ma quali minacce?”. Il resto Carminati lo accetta, quasi lo rivendica, come ha sempre fatto durante le udienze quando diceva: “Non sono una mammoletta”.