Arrivati a questo punto ci si può solo augurare che la Lockheed abbia pagato una maxi-tangente. Meglio infatti scoprire di essere stati governati da una banda di ladri, piuttosto che avere la certezza di aver lasciato in mano l’amministrazione della Cosa pubblica a dei cretini incompetenti. Parole forti? Certo. Ma è impossibile usarne altre dopo aver letto l’analisi della Corte dei Conti sull’acquisto di 90 cacciabombardieri F-35 da parte del nostro Paese.
Con quattro anni di ritardo rispetto agli allarmi lanciati da ex generali, esperti di armamenti, giornalisti e organizzazioni di cittadini, i giudici certificano che tutte le peggiori previsioni sono state rispettate. I costi dei nuovi aerei “sono praticamente raddoppiati”, le gravi problematiche tecniche che avevano spinto varie nazioni a non partecipare alla fornitura hanno fatto sì che il programma sia “in ritardo di almeno 5 anni” e la ricaduta occupazionale, che secondo il ministro della Difesa del governo Monti, Giampaolo Di Paola, ammontava con l’indotto a circa 10.000 posti, non c’è stata. Lo dice Leonardo-Dv (l’ex Finmeccanica) che ha rivisto al ribasso le sue previsioni. Quando la polemica sugli F-35 infuriava l’azienda parlava di 6400 addetti. Oggi l’obiettivo ritenuto “realisticamente realizzabile è di 3.586 unità”.
Insomma, nessun fallimento economico è stato più annunciato di questo. Ma il bello, o il brutto di questa storia, è che tutti in Parlamento lo sapevano. E per questo sostenevano, a parole, di voler correre ai ripari. Cosa è accaduto in questi ultimi anni sta lì a dimostrarlo.
Dopo che nell’aprile del 2009 (governo Berlusconi) la commissione Difesa aveva votato l’acquisto degli F-35 – con il Pd uscito dall’aula – l’idea di stare per firmare un contratto bidone aveva iniziato a far proseliti. Nel 2012 Matteo Renzi, ancora sindaco, twittava: “Continuo a non capire perché buttar via così tanto sulle spese militari, a partire dalla dozzina di miliardi necessari a comprare i nuovi F-35. Anche basta dai”.
Due anni dopo, però, da premier lo avrebbe capito. Nel 2014, reduce da un incontro con Barack Obama, Renzi spiega sicuro che quella per gli F-35 è “una battaglia mediatica lontana dalla realtà dei fatti”. Risultato: l’unico vero taglio – su una fornitura che sarebbe stato meglio annullare per costruire invece un caccia europeo – è fin qui stato quello di Mario Monti (aerei ridotti da 136 a 90). Il resto sono invece solo inutili mozioni (come quella votata pure da Pd e FI non per il dimezzamento del numero dei velivoli, ma per un irrealizzabile dimezzamento delle spese) e un fiume di parole. Le migliori sono quelle di Silvio Berlusconi. L’ex Cavaliere, dopo averli voluti, nel 2013 arriva ad affermare di essere stato “contrario da sempre” per poi salutare i cronisti di Presadiretta con una simpatica battuta: “Coi caccia ci faremo del turismo aereo”. Difficile dargli torto: i miliardi che l’Italia spenderà non sono mica soldi suoi. E nemmeno di Giorgio Napolitano, il presidente emerito ai primi posti nella classifica dei responsabili del disastro.
Nel 2013 (come ricostruisce diffusamente Travaglio a pag. 1), quando vede il Parlamento affermare, su pressione di Sel e M5S, che tutte le spese straordinarie in fatto di armamenti devono d’ora in poi essere votate dalle Camere, Napolitano si irrita. Convoca il Consiglio di difesa e pubblica una stravagante nota per sostenere che in fatto di nuove armi decide solo il governo. Davvero, lo ripetiamo con rispetto: vorremmo tanto che quella degli F-35 fosse una storia di tangenti. Ma purtroppo qui l’unico denaro in gioco è il nostro.