“Scrivono che Sposetti voterà contro la legge sui vitalizi. Ma è impreciso: io organizzerò proprio la rivolta in Senato contro il provvedimento approvato alla Camera”. Nell’afa del cimitero monumentale del Verano a Roma, dove ieri è andato a rendere omaggio alla tomba di Palmiro Togliatti nel 53° anniversario della sua morte, ecco il senatore del Pd Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Democratici di sinistra. Pronto alle barricate contro il disegno di legge Richetti che taglia i vitalizi, obbligando a calcolarli in base ai contributi effettivamente versati.
Un testo che deve il nome a un deputato dem e che il Pd ha contribuito ad approvare (tra numerosi mal di pancia) a Montecitorio il 26 luglio scorso. Perché così volle Matteo Renzi, per non esporsi alla contraerea dei Cinque Stelle. Ma tra i desideri e la realtà c’è sempre di mezzo il Senato, disseminato di malpancisti. D’altronde il capogruppo dem a Palazzo Madama Luigi Zanda aveva già manifestato dubbi sul provvedimento al Foglio, rincarando la dose due giorni fa sul Fatto: “Pensare che la legge sui vitalizi non sarà votata dal Senato è legittimo”. Ma Sposetti va oltre. Ed entra nel dettaglio: “Ma perché bisogna dare fastidio a tutte quelle donne che hanno diritto alla pensione di reversibilità, per essere state accanto a mariti impegnati in politica? Parliamo di signore di 85 o 90 anni, che vivono di quello. E io mi preoccupo per loro”.
Bene, ma tra chi ne beneficia c’è anche un lungo elenco di politici, spesso già abbienti. E tra chi difende i vitalizi ci sono nomi che fanno rabbrividire, non crede? Il senatore non si scompone: “Ci sono alcuni che dovrebbero stare zitti, è vero. Ai miei colleghi di partito però chiedo: Emma Bonino o Emanuele Macaluso, che hanno dedicato la loro vita a battaglie per la democrazia e per il Paese, che ti hanno fatto?”.
Però, in un momento economico e sociale complicato, abolire i vitalizi sarebbe un segnale al Paese. E magari ridarebbe un po’ di credibilità alla politica. Ma l’ex tesoriere non ci sta: “Il segnale che serve è il lavoro ai giovani e a quanti sono rimasti fuori dalla produzione. Il segnale è la ripresa”. Insomma, secondo Sposetti è buono e giusto opporsi al ddl Richetti. Ed è pronto a fare il tessitore dell’eventuale fronda interna.
Ma dal Pd quanti voti contrari arriverebbero? Il senatore sorride e non risponde. Ma la sua l’ha detta chiara, confermando quanto la legge sia in bilico. Al punto da rischiare di non arrivare neanche in Aula, come ha ammesso Zanda, che ad agosto aveva respinto la richiesta del M5S di un voto d’urgenza sul testo. “Il testo – aveva sostenuto – va esaminato con attenzione: il Senato non deve dilungare inutilmente la discussione e non lo farà, ma non deve troncarla artificialmente”. Ossia, calma e gesso. E largo spazio alle proposte di modifica in commissione, che se approvate potrebbero già abbattere il testo. Perché arrivare a una terza e definitiva lettura alla Camera prima della fine della legislatura sarebbe un’impresa. Ma è più probabile che il ddl venga semplicemente congelato sine die, nel nome dei numeri più che incerti.
Già perché, assodato il no di Forza Italia e Alternativa popolare, nel Pd rischia di aprirsi una faglia ampia e quindi rischiosa. Forse troppo, per una maggioranza che in Senato è già fragile di suo, tra alleati di complemento parecchio agitati (i verdiniani di Ala), e i veti di Articolo1-Mdp, che sulla legge Richetti si è già astenuto a Montecitorio. E non ha alcuna voglia di ripensarci. “L’esperienza mi dice che questa legge non arriverà in Aula, o ci arriverà morta” confermava, sempre al Fatto, Felice Casson, ex dem passato coi bersaniani di Mdp.
E allora riaffiorano i dubbi dello stesso padre del testo, il renziano Matteo Richetti, sull’effettiva approvazione in Senato della legge. Dal futuro sempre più sfumato, come certe promesse che non si possono esaudire.