Tra i migranti che arrivano in Italia, gli eritrei sono fra i più numerosi. Nel piccolo Paese del Corno d’Africa, appena 6,5 milioni di abitanti, l’emigrazione è un fenomeno di massa. Colpa di un regime oppressivo che controlla la vita delle persone attraverso il servizio militare obbligatorio a tempo indefinito e della mancanza di sviluppo economico nell’ex colonia italiana. Che l’Italia ricorda solo per gli accordi commerciali. O quando i rifugiati eritrei vengono sgomberati a Roma.
Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr), lo scorso anno sono sbarcati sulle nostre coste oltre 20.000 eritrei, secondi solo ai profughi della Nigeria che però conta quasi 190 milioni di abitanti. La tendenza degli arrivi dal Corno d’Africa verso l’Italia è costante, pur con variazioni. Nel 2016 gli eritrei che hanno ottenuto asilo o protezione internazionale da Roma sono l’80% dei richiedenti (7.400), il 73% nel primo semestre 2017 quando gli arrivi sono diminuiti. Tutti gli altri, se possono, vanno verso il Nord Europa, molti chiedono asilo in Svizzera. L’Onu stimache circa 5.000 persone lasciano il Paese ogni mese alla volta dell’Europa e non solo. Solo due settimane fa sono annegati decine di migranti eritrei ed etiopi al largo dello Yemen, dilaniato da una guerra fratricida eppure transito obbligato verso l’Arabia Saudita, dove molti eritrei cercano lavoro.
“Il regime di Asmara viene spesso descritto in modo troppo semplicistico come la Corea del Nord africana. Anche se non si vedono i poliziotti per strada, la libertà è ridotta a zero”, osserva Vittorio Longhi, giornalista italo-eritreo attivo nella denuncia del regime di Isais Afewerki, presidente dal 1991, anno dell’indipendenza dall’Etiopia. Un rapporto Onu del 2015 parla di “un clima di terrore in cui il dissenso è sistematicamente represso, la popolazione è costretta al lavoro forzato e alla carcerazione arbitraria” e di “crimini contro l’umanità”. La privazione delle libertà fondamentali si accompagna alla povertà. “Dopo l’addestramento militare nel campo di Sawa – spiega Longhi –, i cittadini vengono assegnati al servizio nazionale a tempo indeterminato, ricevendo compensi da fame. I giovani sentono di non avere possibilità e fuggono”.
Chi resta può diventare manodopera a bassissimo costo. France24 nel 2016 ha documentato che l’azienda italiana di costruzioni Piccini impiegava circa 150 eritrei, la metà militari. Non è l’unico caso. L’Italia è il secondo partner commerciale di Asmara dopo l’Arabia Saudita.