“Frontiera! Frontiera! Cosa importa se si muore. Basta un grido di valore che il nemico arresterà!”. Queste erano le prime parole di un inno fascista fatto ripetere senza fine dai bambini, nelle scuole di regime degli anni Trenta, quando era essenziale inculcare nella testa dei piccoli due concetti che rendono facile, anzi naturale, accettare la guerra.
Uno è che la frontiera esiste non per definire un territorio, ma per essere chiusa e ben guardata, in modo che non passi nessuno. L’altro è che fuori dalla frontiera (che dunque diventa “sacra e inviolabile” e vuole il sangue ) c’è sempre, per definizione, il nemico. Che cosa fa di mestiere il nemico? Invade. E infatti l’inno ti spiega che “il grido di valore il nemico arresterà”. Ovvero, prima che invada lui, invadiamo noi. Il nemico, come dice la parola stessa (e l’inno, in un altro punto ) è “codardo”. E allora (altro inno) “Nizza, Savoia, Corsica fatal, Malta baluardo di romanità. Tunisi è nostra, nostro il nostro mar, tuona la libertà” (intesa come espansione e dominio).
Segue “In armi, Camicie Nere! In piedi, fratelli Corsi!” e la lezione dell’indottrinamento (con buona pace di molti leghisti, che si schierano accanto a CasaPound, ma vorrebbero solo sbarazzarsi dei ”neger” e il diritto di sparare in casa), è completa: sbarrare le frontiere non vuol dire niente se non segue la proclamazione della guerra (“Siamo in guerra!” ti ripetono i loro giornali, che chiamano già adesso “bastardi” quelli che sono fuori e che pretendono di entrare, pur professando la religione sbagliata e ignorando le tradizioni delle nostre valli).
L’Italia, Paese co-fondatore dell’Europa, non è solo l’autore della chiusura ai bastardi, in attesa che la Libia ci aiuti a fare di meglio. L’Italia è stata chiusa fuori a sua volta, da Austria, Francia, Polonia e Balcani. La nostra educata protesta si è sentita appena. Siamo fascisti solo a metà.