Ma quale Festival della Mente: qui per il best-seller di Matteo Renzi Avanti. Perché l’Italia non si ferma e soprattutto per il suo autore ci vuole minimo minimo il Premio Strega. Ingenuamente il sindaco Pd di Sarzana, Alessio Cavarra, aveva pensato che il celebre scrittore prestato alla politica e il suo capolavoro letterario potessero accontentarsi di una pur rinomata rassegna filosofica, precettando la cittadinanza tutta (su carta intestata del Comune) all’appuntamento con l’ex premier “in occasione della XIV edizione del Festival della Mente”. Siccome il festival è riservato ai pensatori e l’unico rapporto fra Renzi e la parola “mente” è il verbo mentire, si è poi scoperto che il nostro si era imbucato: è stato quando la Regione Liguria ha minacciato di revocare il patrocinio e i finanziamenti, e gli organizzatori hanno smentito di averlo mai invitato Renzi e soprattutto scambiato per una mente. Al che lui s’è ritirato tutto sdegnoso, mentre il sindaco s’offerente strillava alla “censura”. Ma, mentre una porta si chiudeva, una ben più prestigiosa si spalancava: quella, appunto, dello Strega. A noi era sfuggita, ma un lettore appassionato di stampa clandestina ci ha segnalato l’intera pagina di intervista al Foglio di un insigne giurato del Ninfeo, l’ex giudice costituzionale Sabino Cassese. Una leccornia da sorseggiare goccia a goccia, anche per le domande ficcanti del rag. Claudio Cerasa.
Vergin di servo encomio, Cassese parte in quarta: “Apprezzo molto”. Poi scaglia una prima minaccia sugli eventuali lettori: “Renzi è un politico che non scrive alla fine della sua carriera, come per esempio il grande presidente della Restaurazione François Guizot, che al termine della sua vita scrisse quel bellissimo libro che sono i ‘Mémoires pur (sarebbe pour, ma fa niente, ndr) servir à l’histoire de mon temps’, opera in nove tomi”. Ecco, lui non è Guizot: potremmo ciucciarcelo un’altra volta. Però non scrive nove tomi: solo uno, per adesso. Il prof è giustamente ansioso di “indagare il rapporto tra genesi autobiografica, valore oggettivo dell’opera, testimonianza di un’esperienza, prova della qualità dell’uomo e della bontà dei suoi progetti”. Hemingway? Proust? Tolstoj? Hugo? No, Renzi. Il suo “libro è pieno di fatti (le intercettazioni di Woodcock, ad esempio) e si espande su molti temi, sui quali si esprime con intelligenza e con buono stile”. Perbacco, che grinta. Uno s’immagina di trovare “le intercettazioni di Woodcock” sul caso Consip, invece non ce n’è traccia, anzi la parola Consip non è mai nominata. Forse Cassese ha letto il libro di Lillo e non osa dirlo.
Il rag. Cerasa lo incalza da par suo: “Lo stile: lei fa parte da molti anni della giuria del principale premio letterario italiano, il Premio Strega. Perché non parla anche delle qualità letterarie dell’autore?”. Che diamine: hai sottomano il nuovo Dostoevskij e mi vai a trascurare le qualità letterarie? Cassese non delude: “Un libro ben costruito, che comincia dalla fine (sic, ndr), si sviluppa in crescendo. Stile nervoso, asciutto nella cronaca, immaginifico, sovrabbondante e un po’ retorico nei programmi… Sincero, senza troppi calcoli, ma con qualche ingenuità… Stile assertivo… inventiva linguistica…”. Una via di mezzo fra Tacito, Calvino e Gadda. “Insomma – traduce il ragioniere sulle ali dell’entusiasmo – Renzi è promosso a pieni voti, per lo stile?”. “Piano, piano”, interrompe il recensore: “In molte pagine si ha l’impressione che l’autore affastelli e semplifichi troppo. Padroneggia bene la materia che tratta, è spesso efficace, ma sovraccarica la pagina per cercare di convincere” (lo dicevano già i prof del liceo fiorentino a babbo Tiziano, quando andava ai colloqui per piazzare un outlet in palestra: “Il ragazzo padroneggia la materia, ma mi affastella e mi sovraccarica la pagina”). Quisquilie, comunque: “Il libro è intessuto di buone citazioni e di puntuali dati statistici”. Peccato per quegli “accenti sinceri (ma un po’ da libro ‘Cuore’) sulla famiglia”. Feroce stroncatura che ricorda le vecchie risposte di Fede & C. alla domanda sui difetti di B.: “È troppo buono”.
Conscio della lacerante ferita inferta all’illustre letterato, Cassese rimedia subito con una carezza lenitiva: c’è “un sincero desiderio di ‘vedere dentro’ la società, di capire gli altri, di mettersi in contatto con la gente”. Ma non la gente qualunque, no: “Si vede dal libro che Renzi non ha avuto un buon dialogo con le stanze del potere”, e questo perché “gli piaceva andare tra la gente, dialogare specialmente con i giovani di successo, gli innovatori, oppure con i poveri, i derelitti, quelli colpiti dalla sorte”. Tipo un B., un Verdini, un Marchionne, un Briatore, un Montezemolo, un Boccia, un Carrai: i senzatetto, “in un afflato tra lapiriano e deamicisiamo”. Chi non lo ricorda nelle favelas di Jp Morgan o Amazon, mischiato fra le suorine di Madre Teresa di Calcutta? Tramortito da cotanta violenza, il rag. Cerasa azzarda: “Ma nel libro c’è anche il Renzi che vuole rilanciare l’ideale europeo”. Ma Cassese continua implacabile a scorticarlo vivo: “Questo è l’aspetto positivo… l’Italia che riprende la leadership che ha avuto con De Gasperi, Carli, Ciampi, Padoa-Schioppa”. Ecco: prima De Gasperi, poi quegli altri, e ora lui. “Tre punti sono chiari: il desiderio di cambiamento, l’idea che non occorra perdere tempo, la voglia di realizzare”. Urca: nessuno ci era mai arrivato prima. Senza dimenticare i suoi tre “grandi successi”: “Riduzione del carico fiscale (invariato, ndr) e lotta all’evasione (dimezzando i controlli e legalizzando il nero, ndr), nuova disciplina del lavoro (che purtroppo non c’è, ndr) e cantieri”. Quali cantieri? “Cantieri”, punto, e ho detto tutto. Sorge persino il dubbio che lo Strega non basti. Meglio il Premio Bancarotta.