La mano della vigilanza bancaria di Bankitalia “po esse fero e po esse piuma”, diceva il mai troppo rimpianto Mario Brega (Bianco, rosso e Verdone, 1981, era governatore Carlo Azeglio Ciampi, altri tempi e altre tempre). Con i disobbedienti è sempre fero. Con le banche amiche è dolcemente piuma. Crollata la Popolare di Vicenza del prediletto Gianni Zonin, è rimasta a beneficiare della delicatezza di Bankitalia la Ubi Banca di Bergamo, guidata da Victor Massiah.
La vigilanza ha una predilezione per gli uomini Ubi. Luciano Goffi, mandato da Bankitalia a salvare Banca Marche con risultati non entusiasmanti, era vicedirettore generale a Bergamo. L’ex direttore generale Riccardo Sora è stato scelto come commissario di Carim, Tercas, Carichieti ed Etruria in rapida successione: non ne ha messo a posto nessuna. Il suo successore Francesco Iorio è stato comandato a salvare Zonin e la sua Popolare di Vicenza, con la propria retribuzione come unico successo.
Bisogna mettere in ordine i fatti e unire i puntini. Il 4 settembre 2015, Bankitalia decide “l’avvio di accertamenti sul gruppo Ubi Banca in tema di rispetto della normativa in materia di trasparenza e (…) contrasto del riciclaggio”. All’esito dell’ispezione notifica l’avvio di una procedura sanzionatoria. Il riciclaggio è la spina nel fianco di Ubi: sulla controllata Iw Bank sono in corso un’inchiesta della Direzione antimafia di Brescia e una della procura di Milano, nella quale è indagato il vicepresidente vicario di Ubi Mario Cera. Intanto per l’ad Massiah, insieme ad altri 30 tra cui il presidente Andrea Moltrasio, lo stesso Cera, il presidente onorario di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli e sua figlia Francesca (consigliere Ubi), c’è a Bergamo la richiesta di rinvio a giudizio per ostacolo alla vigilanza, cioè per aver nascosto i patti occulti che governavano la banca.
A inizio 2017 accadono due fatti apparentemente scollegati. Il 18 gennaio il Fondo di risoluzione (cioè la Banca d’Italia) si accorda con Ubi per venderle a un euro Banca Marche, Etruria e Carichieti, tre delle quattro banche “risolte” il 22 novembre 2015. Pochi giorni dopo la Banca d’Italia comunica a Ubi di aver deciso, “valutate le controdeduzioni presentate”, di non dare seguito a quell’iter sanzionatorio avviato dieci mesi prima. È come se il giudice vendesse un appartamento all’imputato e poi lo assolvesse.
Misteri di un sistema in cui Bankitalia è giocatore e arbitro. Da quattro anni i vertici di Ubi giocano una partita a poker con Consob, Bankitalia e magistratura nella quale toccherà al Tribunale di Bergamo districarsi. L’inchiesta dei pm Walter Mapelli e Fabio Pelosi pone seri interrogativi sui rapporti tra vigilanza e banche.
Il momento più caldo è la primavera 2014. L’indagine parte dall’assemblea del 20 aprile 2013 che elegge un cda spartito tra l’oligarchia bergamasca che fa capo a Moltrasio e quella bresciana che fa capo a Bazoli, benché sia presidente del principale concorrente. I due gruppi sono in guerra. Moltrasio non ama il presidente di Intesa Sanpaolo, lo chiama “l’onnipotente”. La Procura di Bergamo è stata attivata dall’Adusbef di Elio Lannutti e dal piccolo azionista Giorgio Jannone, ex senatore di Forza Italia. Il 13 febbraio 2014 Bankitalia notifica a Ubi un verbale sulle irregolarità della governance e inizia la fitta trattativa per mettere le cose a posto. Il 30 aprile arriva un analogo verbale di contestazione della Consob, attivata dai cinque consiglieri di minoranza di Ubi guidati da Andrea Resti, economista e docente alla Bocconi. Il 13 maggio Moltrasio e Cera, presidente e vicepresidente, vanno a lamentarsene con il presidente della Consob Giuseppe Vegas. Il 14 maggio la procura di Bergamo ordina perquisizioni a raffica, anche nell’ufficio di Bazoli, proprio mentre il banchiere è a colloquio con il governatore Ignazio Visco, per parlare di Ubi o di Intesa, o di tutt’e due.
I big di Ubi dispiegano la strategia di contenimento. Chiedono conforto al capo della vigilanza di Bankitalia Carmelo Barbagallo e si convincono di averlo ottenuto. Massiah viene intercettato mentre racconta a Franco Polotti, presidente del consiglio di gestione, il suo colloquio con Barbagallo, con il quale avrebbe esordito riconoscente: “Sono stato testimone fisico, ed è la verità, di quello che lei ha fatto per noi”. Chiede soccorso contro “l’accanimento” della Consob e descrive Barbagallo “assolutamente stupito da questa cosa, che però, dice, sa ci sono anche due Consob non una sola. Mi ha detto di mandargli il provvedimento… la lui la potesse approfondire e… però stupito e stupito oltretutto dell’uso di un articolo che è pesante nel fare queste robe qui… Insomma mi ha dato segnali di fiducia e solidarietà”.
Resti, con la sua denuncia, avrebbe destato il raccapriccio del capo della vigilanza che, nel racconto di Massiah, dice: “Un’altra cosa che mi stupisce è questo atteggiamento di Resti che mi stupisce in assoluto… sa noi qui in Banca di Italia lo usiamo per diversi lavori, non sembrava essere una persona così… come dire…”. Massiah ci mette il carico: “Al di là di tutto, questo uomo secondo me ha un po’ sottovalutato anche chi si mette contro perché con tutte… pensa… alla rete di conoscenze che ha un Pedersoli… Bazoli”. Polotti va al punto: “Lo massacrano”.
Nella stessa telefonata Massiah canta l’ira funesta di Ester Faia, consigliere di Ubi ma anche moglie di Ignazio Angeloni, membro italiano del Supervisory Board della Bce, che vigila sulle banche maggiori, oggi impegnato a contendere a Visco la poltrona in scadenza a novembre. Dice Massiah: “Mi ha detto Andrea [Moltrasio] che la Ester era furibonda, mi ha detto che lei dice… io lo asfalto, adesso parlo con tutti…”. Chiosa il banchiere di sistema: “Sai, questa parla con Draghi, parla con Visco… poi è uscito fuori che si è sfogata… dice… quello ogni tanto mi telefona per avere qualche incarico a Francoforte ma vedi adesso io dove lo faccio trattare…”. Sentito dai pm, Barbagallo nega: “Non credo di aver fatto commenti (…) sul prof. Resti né nell’occasione dell’incontro del maggio in Banca d’Italia né in altri incontri”. Sarebbe utile sapere se Massiah si è inventato tutto o no.
In ogni caso Visco e Barbagallo si mostrano sensibili al grido di dolore che si leva dalle valli bergamasche e ricevono a Palazzo Koch lo stato maggiore: Massiah, Moltrasio, Cera e Polotti. Racconta Barbagallo ai pm: “Ci hanno informato del fatto che avevano ricevuto un provvedimento di perquisizione da parte della autorità giudiziaria e si sono mostrati stupiti e un po’ meravigliati. Noi non abbiamo espresso valutazioni”. La Commissione parlamentare d’inchiesta potrà studiare questo mondo meraviglioso in cui i vertici di una banca sono indagati per un reato che ha Bankitalia come parte offesa, e il governatore, anziché farsi ragguagliare dagli inquirenti, riceve una delegazione degli indagati.
Barbagallo nega di aver espresso valutazioni sull’intervento della Consob ma ricorda che già nel 2013 un’ispezione Bankitalia aveva verificato la governance, senza elevare sanzioni. Però ammette: “Laddove le decisioni della banca risultassero prese all’esterno dei suoi organi sarebbe un fatto estremamente grave”. Chissà se rientrano nelle “decisioni prese all’esterno” le riunioni private in cui esponenti apicali di Ubi discutono le strategie con il presidente della maggiore concorrente. I magistrati di Bergamo hanno sequestrato i dettagliati verbali scritti dal consigliere Italo Lucchini. Il 13 marzo 2014 c’è uno scontro epocale tra Moltrasio e Bazoli sulla decisione di fondere in un’unica banca i vari istituti del gruppo. Bazoli è contrario. Lucchini appunta: “Bazoli mai visto così agitato”, è “sempre più sorpreso e sconcertato”, reagisce “in modo duro e risentito”. Nel resoconto di Lucchini, Bazoli illumina con una sola frase la vision globale della finanza italiana: “Per risolvere i problemi di Bergamo non si possono certo mettere in discussione valori non negoziabili per Brescia”.
Il giorno dopo il presidente di Intesa viene intercettato mentre si sfoga con la figlia Francesca, consigliere di Ubi: “Quello (verosimilmente Andrea Moltrasio) è partito in ira a presenza di altri due e quindi a recitare la parte… ma l’ha recitata in modo durissimo… facendo tutta una serie di considerazioni che portavano poi a dire: andiamo alla banca unica”. La figlia, sentendo “banca unica”, si unisce allo sbigottimento del presidente della maggiore concorrente di Ubi: “Eh, ho capito che è stata molto dura”. Il padre conferma: “Ho reagito in modo fortissimo… fortissimo… perché i miei due compagni, i miei due colleghi (verosimilmente Franco Polotti e Mario Cera)… anche… impegnati quotidianamente a contatto con gli altri… erano… avrebbero reagito in un modo molto più soft… io ho voluto far capire che su questa strada non si va da nessuna parte… (…) ma ti dico di più… l’uomo (verosimilmente Andrea Moltrasio) non è granché intelligente…”.
Le grandi banche sono in queste mani. Chi governa un pezzo decisivo dell’economia dedica il tempo alle contese tra bergamaschi e bresciani e al (simulato) gioco del gatto col topo con la vigilanza. Con tante e tali pecorelle smarrite, il governatore Visco merita pertanto umana comprensione se talvolta ha ceduto alla tentazione di girarsi dall’altra parte e se con Ubi la sua mano è stata piuma più che fero.
(1 – continua)