Le hanno mostrato le foto con i volti ben nitidi e a fuoco dei suoi quattro aggressori. Lei li ha riconosciuti tutti. Subito. Uno a uno. “Sono loro”. Nell’orribile notte di stupro a Rimini c’è questa donna nata uomo che pur di riconoscersi s’è costretta alla strada per vivere. Si fa chiamare Molly, ha quasi quaranta anni ed è di nazionalità peruviana. È quella indicata come “trans” nelle cronache delle violenze di venerdì notte. E sembra quasi il neo, la macchia da cancellare dal quadro di affetto e solidarietà che si è creato attorno alle vittime del branco. Se non fosse che vittima lo è pure lei. Ha ancora ginocchia sbucciate e qualche livido sul corpo. Fuori. A parlarci, si ha la certezza che siano nulla rispetto a ciò che porta dentro.
È stata violentata venerdì notte lungo la statale dai quattro che poco prima al bagno 130 avevano picchiato, derubato e stuprato la coppia di giovani polacchi. Lei ha fatto tutto ciò che doveva. In silenzio. Da invisibile, come è abituata a vivere per sopravvivere da circa venti anni. Ha sporto denuncia, si è fatta medicare in ospedale ed è tornata nell’ombra. Ora aiuta gli inquirenti nella caccia al branco. E per questo, spiega, deve rimanere a Rimini. “Fin quando non li catturano aspetto, altrimenti me ne sarei già andata” dice. Si informa dei polacchi: “Ho letto che stanno meglio, sono ancora in ospedale, vero?”. E lei? “Diamoci del tu per favore”. Va bene: tu? “Io cosa? Io non esisto e non dovrei neanche parlare con te”. I due ragazzi stanno meglio, sono stati raggiunti dai familiari e una delegazione giudiziaria polacca li sta interrogando, magari possono fornire altri elementi utili per le indagini sfuggiti alla traduzione degli interpreti. “Spero li prendano presto, sembravano bestie”.
Domenica i polacchi tornano a casa. “Vorrei farlo anche io, non vivo qui, vengo solo in alcuni periodi ma ora devo aiutare la polizia a catturarli anche se è molto difficile”. Catturarli? “No, restare qui. Non posso tornare a lavorare e non ho soldi per mantenermi a lungo, per vivere”. Ma albergatori e Comune non aiutano anche te come fanno con i ragazzi? Stanno ospitando giustamente anche i familiari e si occuperanno dei viaggi, di tutto. A te? “No, finora nessun aiuto per me. In ospedale sono stati gentilissimi, come gli uomini della polizia ma di aiuti neanche l’ombra; ho dovuto chiamare un amico e farmi portare dei soldi, andrò avanti così fin quando serve”. Hai provato a chiedere? “E a chi? Non mi stupisco, non preoccuparti. Potessi sarei già tornata a lavorare ma sto male fisicamente, devo aspettare”. Il lavoro, già. Sempre al solito posto, lungo la statale tra Rimini e Riccione, all’altezza dell’aeroporto. È per poter continuare a lavorare che hai avuto la freddezza di chiedere ai tuoi aggressori di usare il preservativo e gli hai dato spontaneamente quel che avevi quando ti hanno minacciata con la bottiglia: per evitare che ti picchiassero, ti lasciassero segni? “Non posso parlare di quello che è successo venerdì e non voglio, ho raccontato tutto agli agenti, ora li aiuto e poi me ne vado da qui”. Hai paura? “No, poteva capitare in qualunque posto, Rimini non c’entra nulla, ma è stato orribile, è stato orribile anche per me”.
Molly sparisce. In tutta questa vicenda lei è l’unico cittadino extracomunitario accertato, dei quattro aggressori non si conosce neanche la nazionalità. Molly ne ha riconosciuti due con la pelle scura e due con pelle più chiara, olivastra. Hanno violentato la 26enne polacca e poi lei, Molly. Vittime di un abuso sessuale nel nostro Paese. Eppure, a quanto dice, nessuno le ha offerto aiuto. È la macchia da cancellare. “Io non esisto”, dice. Se non quando è lungo la strada. Quando lavora. E lavora tanto da potersi mantenere. Esiste quando è notte. Come la Princesa cantata da De André: “Quando le macchine puntano i fari, sul palcoscenico della mia vita”.