Dovrebbe iniziare la prossima settimana in commissione Affari costituzionali del Senato (il condizionale è d’obbligo) l’esame del disegno di legge S. 2888, approvato dalla Camera il 26 luglio. Il primo articolo, “Abolizione degli assegni vitalizi”, precisa che la finalità della legge è “rafforzare il coordinamento della finanza pubblica e di contrastare la disparità di criteri e di trattamenti previdenziali nel rispetto del principio costituzionale di eguaglianza tra i cittadini”. Per comprendere la portata innovativa del disegno di legge sarà utile ricostruire il contesto giuridico-costituzionale in cui i vitalizi vanno inquadrati, anche alla luce delle obiezioni mosse al disegno di legge nella discussione alla Camera.
Il sistema previdenziale che si intende sostituire ai vitalizi equiparando il trattamento pensionistico degli ex parlamentari a quello che dal 2012 estende ai parlamentari in carica il sistema contributivo previsto per tutti i lavoratori italiani, compresa la rivalutazione annuale, ben può essere introdotto per legge e non necessariamente mediante i Regolamenti interni delle Camere.
Se l’indennità parlamentare è stabilita per legge come prevede la Costituzione (art. 69) non si vede perché la previdenza dei parlamentari, corollario del loro trattamento economico, non possa essere disciplinata anch’essa mediante lo strumento legislativo.
Come ha stabilito la Corte costituzionale, gli assegni vitalizi dei parlamentari, anche se presentano “in parte aspetti riconducibili al modello pensionistico e in parte profili tipici del regime delle assicurazioni private… la loro diversità di natura e di regime… li distingue dalle pensioni ordinarie spettanti ai pubblici dipendenti”. Sulla stessa linea la Corte di Cassazione per la quale l’assegno vitalizio dell’ex parlamentare non è riconducibile al trattamento pensionistico ordinario, essendo piuttosto assimilabile al regime delle assicurazioni private.
L’obiezione secondo cui i vitalizi sarebbero intangibili in quanto “diritti acquisiti” è priva di fondamento: tale espressione designa i diritti di natura patrimoniale maturati e definiti nel corso del rapporto giuridico e che non possono più essere rimessi in discussione da una nuova legge o da un nuovo contratto collettivo. Se fosse approvata la nuova legge, non per questo si potrebbe richiedere agli ex parlamentari di restituire le mensilità loro erogate nei 10 anni precedenti in forza della normativa del 1954.
Il principio della salvaguardia dei diritti acquisiti spiega la sua efficacia soprattutto nei rapporti di lavoro e della previdenza pensionistica. Per i trattamenti previdenziali (categoria in cui rientrano i vitalizi quali forme di previdenza assicurativa), come ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza 349/ 1985: “Se è vero che in linea di principio deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che… modifichi l’ordinamento pubblicistico delle pensioni, non può ammettersi che tale intervento sia assolutamente discrezionale per cui non è consentita una modifica legislativa che… peggiorasse senza una inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante… ma una siffatta irrazionale incidenza va esclusa (quando) il sacrificio è determinato, secondo una valutazione legislativa che non può ritenersi irrazionale, dalla necessità di evitare, in un momento di grave crisi economica, notevoli disparità fra le diverse categorie di pensionati, con le conseguenti tensioni sociali”. Finalità che sono esattamente quelle della nuova legge.
Ugualmente infondata è l’ulteriore obiezione secondo cui la riforma contrasterebbe con il principio di irretroattività. Il principio vale in assoluto soltanto per le leggi penali e per le leggi tributarie. Non esiste un divieto generale di leggi retroattive, purché – afferma la Corte costituzionale – esse siano adeguatamente motivate “nel rispetto del principio generale di ragionevolezza e di uguaglianza”, ispirate “al fine di realizzare una uniformità di trattamento attraverso la sistematicità dell’intervento innovatore”.
La nuova legge soppressiva dei vitalizi non retroagisce sui preesistenti rapporti ma su quelli tuttora in atto (in base ai quali gli ex parlamentari continuano a percepire le quote mensili dei vitalizi). Trattandosi di rapporti previdenziali, la disciplina sopravvenuta è applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni di fatto esistenti alla data della sua entrata in vigore, ovviamente fatti salvi i rapporti giuridici pregressi, i cui effetti non possono più essere disconosciuti.
* Ex magistrato