Le regole per le candidature sono un mistero un po’ buffo. L’antagonista è un mistero e basta. Perché non scopre le carte e medita se rimanere a bordo campo per lasciare solo il vincitore annunciato, Luigi Di Maio (“sono pronto a fare il premier”), nelle primarie. Mentre ai piani alti cresce il timore di un suo strappo ben più doloroso. Ovvero, che Roberto Fico non si ricandidi per le prossime Politiche. Un’altra nuvola sul M5S che vive giorni tesi. Perché è ormai a un passo la festa nazionale di Rimini, dove la sera del 23 settembre verrà incoronato il candidato premier, cioè Di Maio, dopo le votazioni sul web dai confini ancora oscuri (in anticipo di un giorno sul previsto, per non essere “oscurati” dalle elezioni di domenica in Germania).
Non esiste un confronto congressuale, nel Movimento che vuole governare l’Italia: perché i vertici non lo vogliono. E non si sa neanche se ci sarà una parvenza di gara. Perché è una corsa a sfilarsi, con gli emissari dei vertici che si affannano a cercare candidati, ricevendo no in serie. Mentre le regole non arrivano. Ufficiosamente, perché stanno ancora scrivendo le norme per blindarle contro eventuali ricorsi, ormai una sindrome per il M5S che finisce sempre in tribunale. E poi c’è la paura degli hacker, che ad agosto hanno violato ripetutamente la piattaforma web Rousseau, quella del voto. “Più tardi diremo i termini, meno spazio daremo ai pirati per attaccarci”, spiega una fonte. Però cresce l’impressione che si vada verso un turno unico di votazioni, proprio nel giorno di sabato, in cui alle 20.30 verrà proclamato il vincitore. Come già avvenuto per le Regionarie in Sicilia.
Nell’attesa nessuno capisce cosa farà Fico. Se lo chiedono tutti, e per primo Di Maio: il predestinato, che soffre la dissidenza del presidente della Vigilanza Rai, ormai il principale oppositore del candidato premier in pectore. Una frattura di vecchia data. Perché era già in trincea, il Fico che nel luglio del 2016 si presentò alla festa di compleanno di Di Maio a Roma, sopra un barcone sul Tevere. Erano tutti eleganti, con il vicepresidente della Camera in giacca e cravatta blu. Tranne due: Alessandro Di Battista e Fico. E almeno per il deputato napoletano, fu una precisa presa di distanza.
Una lettura logica, a sentire il Fico che poche settimane dopo, alla festa del M5S di Palermo, urlò dal microfono: “No al vippame”. Una dichiarazione di guerra a Di Maio e al suo stile bollato come “di palazzo”. Ma non è certo solo una questione di cravatte. Perché a separare i due ci sono stati nodi concreti, come la giunta di Roma, con Di Maio impegnato a costruirla e a rattopparne i mille guai, e Fico durissimo contro Virginia Raggi e i suoi, fino a essere il primo a chiederne la testa il 16 dicembre, quando arrestarono l’allora fedelissimo della sindaca, Raffaele Marra. Ma di fondo c’è soprattutto una sensibilità politica diversa, tra il vicepresidente della Camera – un moderato che occhieggia alla destra dei partiti conservatori – e il Fico barricadero, quasi da centro sociale, col cuore a sinistra.
Differenza emersa plasticamente sull’immigrazione. Con Di Maio in picchiata contro le Ong e gli sbarchi “facili”, fino a difendere lo sgombero dei rifugiati eritrei. E l’altro a prendere ogni volta le distanze, sostenendo che a Roma “non si doveva arrivare a quel punto”. E a rilanciare un video in cui Gino Strada, il fondatore di Emergency, demoliva la linea del Viminale sui migranti. E ora? Sul tema Fico non parla, ma lo descrivono come critico sulla gestione delle primarie. Deluso, per l’assenza di un vero dibattito.
Dall’ala ortodossa, quella degli anti-Di Maio, tifano perché non si presenti. “Si presterebbe a una farsa”, ringhia un parlamentare. E lui è molto tentato dall’ascoltarli. Però sa anche che non scendere in campo vorrebbe dire esporsi ad accuse di incoerenza. Lo taccerebbero di aver tirato indietro la gamba. Comunque un nodo.
Dalla sua parte ci sono buona parte dei parlamentari campani, assieme a deputati come Giuseppe Brescia (un altro in dissenso sull’immigrazione), Davide Crippa e Ivan Della Valle. E pochi giorni fa un senatore di peso come Nicola Morra ha rilanciato il suo post contro lo sgombero a Roma. La certezza è che le sue mosse preoccupano i vertici. Dove da giorni serpeggia una grande paura, quella del passo indietro di Fico al momento delle ricandidature. E sarebbe uno strappo lacerante da parte di un big, responsabile dei meet up e molto popolare nella base storica del M5S. Solo un’ipotesi, quella del Fico che rimane a guardare. Ma non inverosimile. E comunque sufficiente per renderlo sempre più un imprevisto, per il copione già scritto.