Associazioni di studenti e politici (soprattutto a sinistra) hanno esultato per la sentenza del Tar che boccia il numero chiuso in alcune facoltà umanistiche della Statale di Milano. E il rettore Gianluca Vago ha dovuto accettare i limiti di una legge anacronistica e un po’ ipocrita del 1997 che consente il numero chiuso in facoltà come Medicina con la scusa che prevedono l’uso di “laboratori ad alta specializzazione” e “sistemi informatici”. Ma a Filosofia o Lettere non si possono mettere limiti perché lì, di laboratori, non ce ne sono. La grande differenza, però, è che nei corsi dove viene programmato un accesso coerente con le possibilità di assorbimento del mercato del lavoro gli studenti hanno un destino sereno, in assenza di selezione all’ingresso invece vengono abbandonati.
Il rapporto sull’istruzione dell’Ocse presentato ieri certifica per l’ennesima volta una verità che gli italiani non vogliono capire: il tasso di occupazione per chi frequenta studi umanistici è il 71%. Per chi punta su Informatica o Ingegneria tra l’84 e l’85. C’è una bella differenza. Secondo i dati 2014 che usa l’Ocse, in Italia il governo investe solo il 7,1% del budget in istruzione, in coda ai Paesi Ocse. Ma se anche le risorse fossero maggiori, viene da pensare, leggendo il rapporto, cambierebbe poco, di sicuro non le preferenze degli studenti.
Oggi l’università in Italia costa poco a chi la frequenta – il 27% in meno della media Ocse – ma rende anche poco, i benefici sono inferiori al 22% degli altri Paesi dell’area. Parte del problema sembra essere proprio nella facoltà scelta: il 39% sceglie facoltà umanistiche (incluso Giornalismo, un bell’azzardo…) contro il 23% dell’Ocse. Il problema non sembrano tanto le scienze dure, la quota è il 25% contro la media del 22%, ma i pochi che fanno Economia o Legge (dato curioso, visto che il Paese è pieno di avvocati): 14% contro la media Ocse del 23. Per trovare lavoro servono molte politiche pubbliche, ma qualche scelta personale più oculata aiuta.