Riparte dopo la pausa estiva l’appello del processo sulla Trattativa all’ex ministro dc Calogero Mannino, e in aula si accende subito la discussione su una complessa questione procedurale che rischia di rimbalzare fino alla Corte costituzionale. E apre uno spiraglio verso la possibile prescrizione.
Assolto in primo grado dall’accusa di violenza al corpo politico dello Stato per “non aver commesso il fatto”, Mannino era stato stralciato dal processo Stato-mafia tuttora in corso a Palermo con il rito ordinario, ed era stato processato col rito abbreviato. Ieri, davanti alla Corte d’appello, presieduta da Adriana Piras, i sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera hanno sottolineato come la nuova legge sulle “modifiche al codice di procedura penale”, in vigore dal 3 agosto, stabilisca la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, quando l’appello è proposto dal pm contro la sentenza di proscioglimento. Si tratta della recente riforma dell’articolo 603 cpp apportata dal ministro Andrea Orlando che ha già bloccato l’appello per la strage del rapido 904 con Totò Riina imputato a Firenze.
La pubblica accusa ha chiesto alla Corte di valutare se la riforma si debba applicare anche al rito abbreviato: in tal caso, la Procura generale di Palermo ha annunciato che dovrà risentire 50 testimoni, oltre al superteste Massimo Ciancimino. Sollevando alcuni dubbi sui profili di illegittimità costituzionale che riguardano l’applicazione della nuova norma al rito abbreviato, poi, i procuratori generali hanno sottolineato che in questo caso l’appello Mannino potrebbe durare almeno due anni. È stato a questo punto che il presidente Piras ha chiesto all’ex ministro dc se intende rinunciare alla prescrizione: Mannino ha risposto di no. Quindi la Corte si è riservata e ha rinviato il processo al 24 ottobre per ascoltare la difesa.