Il fondatore che non vuole più essere capo sente l’assedio. Così per ricompattare una base disorientata ripesca il vecchio nemico, la stampa, rivolgendo ai cronisti aulici pensieri: “Vi mangerei solo per il gusto di vomitarvi”. Mentre dai piani alti avvertono: “Luigi Di Maio non si tocca”. Ma gli ortodossi, gli oppositori interni, sogghignano per quei sette, bizzarri sfidanti del deputato campano nelle primarie a 5 Stelle.
Si presenteranno in massa alla festa di Rimini, “dove bisogna tenere il campo”. Ma guardano già più lontano, alle Regionali in Sicilia del 5 novembre, “perché se perdiamo Di Maio e i vertici ci dovranno dare spiegazioni”. È quello lo snodo che potrebbe far tintinnare le sciabole nel Movimento dove volano sospetti e minacce incrociate. Perfino il discorso di Alessandro Di Battista a Rimini diventa motivo di ansia. Perché anche il deputato romano è descritto come “inquieto” per l’autogol sulle regole.
E chissà cosa dirà Roberto Fico, prima escluso dal palco, poi inserito venerdì, a debita distanza dal Di Maio che sabato sera verrà proclamato vincitore. Ammesso che la scaletta non venga di nuovo modificata dalla casa madre di Milano. Sicuramente parleranno le sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino, assieme a parlamentari come Vito Crimi e Laura Castelli. E a fare da padrone di casa sarà ancora lui, Grillo, che ieri ha lasciato l’albergo romano sui Fori. La mattina l’aveva trascorsa incontrando l’ex senatore Elio Lannutti, amico di vecchia data, e due assessori della giunta Raggi, Pinuccia Montanari e Massimo Colomban. Ma ha letto anche i giornali. E il sarcasmo diffuso sui sette carneadi che sfideranno Di Maio nella votazione sul web lo ha irritato.
In più, c’è la grana dei ricorsi che piovono da tutta Italia, il vero motivo del suo arrivo a Roma domenica sera. “Grillo non ne può più, è oberato di denunce”, ripetono. Ed è questa una delle micce, giurano, per il trasferimento dei poteri a Di Maio, il candidato premier che sarà “anche il designando capo della forza politica”. Tema di cui ha parlato anche con il grande ribelle, Fico, per telefono, due o tre giorni fa. Un colloquio in cui il presidente della Vigilanza Rai gli ha chiesto di non delegare tutto quel potere. Ma Grillo avrebbe tenuto il punto, rigido. “E comunque a chiamarlo è stato Fico, lui non gli avrebbe certo telefonato”, sibilano dal M5S. Perché la distanza con il deputato è un fossato. In questo scenario, il fondatore tenta un vecchio numero. Così uscendo dall’albergo rovescia insulti sulla stampa: “Un minimo di vergogna voi la percepite per il mestiere di che fate, sì o no? O perché fate il vostro lavoro da 10 euro al pezzo”.
Ma parla anche di Roma: “Ogni giorno una trappola, ci sono dirigenti che lavorano per i partiti e non per il bene comune”. Poi se ne va. Dietro, rimangono il silenzio di Fico, e i mormorii degli ortodossi. Improvvisano finte riffe sulle percentuali degli sfidanti di Di Maio. E soffiano: “A chiedere più poteri, garanzie, è stato Di Maio”. Contro il passaggio di consegne sulla rete circolano anche appelli a Grillo. Uno è firmato da Danilo Roberto Cascone, consigliere comunale a San Giorgio Cremano (Napoli). E a mettere “mi piace” è anche il deputato campano Luigi Gallo, vicino a Fico, attivissimo da giorni. “I territori si muovono”, assicura un ortodosso. E cita il sondaggio di Nicola Piepoli sulle Regionali siciliane di due giorni fa, che dava il candidato del centrodestra in Sicilia Nello Musumeci al 42 per cento e il grillino Giancarlo Cancelleri al 25. Un nuvolone sul M5S, instabile.