Se io fossi lo scrittore Dario Franceschini (purtroppo non ho questa fortuna) scriverei un racconto con protagonista un ministro che pubblica racconti in forma di libro con prestigiosi editori. Ma è tormentato dal dubbio che le encomiastiche recensioni (intere paginate sulle più autorevoli testate) siano dettate più dal suo essere ministro che dal suo talento di scrittore. Un amaro retrogusto che lo coglie nei momenti che dovrebbero essere i più lieti per lo scrittore che vede riconosciuta la sua arte. Ma non per l’uomo di potere che scruta sospettoso i suoi aedi.
Per esempio (seguiamo il filo della pura fantasia s’intende), durante l’affollata presentazione in una prestigiosa libreria il famoso critico (in genere implacabile stroncatore) di fronte a cotanta forma espressiva non esita a citare Borges e García Márquez, tra i sorrisi ammirati delle signore. Mentre però lo scrittore arrossisce lusingato, accade che il ministro si arrovelli su quel certo contributo ministeriale (lavoriamo d’immaginazione) ricevuto dal cerbero per una qualche sua meritoria fondazione. Basta.
Per divincolarsi dall’angoscioso dilemma, lo scrittore decide allora di eliminare il ministro (tranquilli è una finzione letteraria) e di firmare il suo nuovo romanzo con lo pseudonimo Francesco Dari. Onde mettere alla prova il prestigioso editore, il favorevole recensore, l’entusiastico cerbero e le dame adoranti. Purtroppo, non essendo io uno scrittore (e neppure un ministro) non riesco a trovare un finale convincente e lascio l’incombenza al ministro-scrittore Dario Franceschini augurandogli per il suo nuovo libro, Disadorna, i migliori successi di pubblico e di critica (questi ce li ha già). Ricorderei infine la frase attribuita a Massimo D’Alema (pure lui autore) quando gli chiesero se avesse letto l’ultima fatica del ministro-scrittore (e molte altre cose ancora) Walter Veltroni, accolta, ça va sans dire, dal favore della critica. “Non ho tempo”, sarebbe stata la risposta, “devo finire di leggere Borges e Márquez”.