Seguendo uno schema così collaudato da far quasi pensare che anche gli harakiri siano deliberati, ogni volta che il M5S sembra lanciatissimo fa una sciocchezza. O due, o duecento. Il meeting di Rimini doveva essere una festa, oltre che un’investitura: come minimo, si sta rivelando un’occasione persa. È lontano l’entusiasmo del primo V-day e il nervosismo è tanto.
Cosa sta accadendo ai 5 Stelle? Capirlo è facile e difficile al tempo stesso. Facile, perché alcune falle sono note; difficile, perché i parlamentari non si espongono. Chi parla a microfoni lontani, chi non parla per non fare danni. Esultare per “le alte cifre” delle “Primarie” è surreale e permette perfino a uno come Renzi di (provare a) dar lezioni di democrazia.
Norberto Bobbio, che di democrazia si intendeva appena più di Sibilia o Nik Il Nero, vaticinava nel 1984: “L’ipotesi che la futura computer-crazia consenta l’esercizio della democrazia diretta è puerile”. E poi: “Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia”. Alcune criticità, tutt’altro che ignote a gran parte dei diretti interessati, sono evidenti. Personalismi e antipatie (Di Maio sta sulle scatole a tanti).
La figura di Fico, attivista di spicco della primissima ora, con idee talora “di sinistra” (infatti Scotto l’ha già invitato dentro Mdp) e con un’idea di movimento che si rifà agli albori, quando in tivù non ci andavano quasi mai e il mantra “uno vale uno” poteva sembrare quasi vero. La sua contrarietà all’idea “verticistico-catodica” di Di Maio è totale. E Fico non è Orellana o la Fucksia: se salta lui, salta un pezzo di Movimento. Quel pezzo che vorrebbe un ormai impossibile “ritorno alle origini”. Un altro problema eterno è il ricambio generazionale al vertice. Gianroberto Casaleggio, che aveva un ruolo chiave e insostituibile, se n’è andato. E Beppe Grillo è stanco. Si definisce “anziano” e dice che resterà il “papà” di tutti per sempre, ma è il primo a sapere che la matassa sta diventando intricata. Troppo intricata, per uno che resta un (grande) artista e non certo un (discutibile) politico.
Ecco un paradosso che i 5 Stelle si portano dietro da tempo: sanno di dover imparare a vivere senza i padri fondatori, ma non sono ancora pronti. E non sarà Di Maio a renderli indipendenti. Nel frattempo, tra un Rosatellum 2 obbrobrioso e un’elezione in Sicilia che doveva coincidere con un trionfo quando invece il favorito sembra essere adesso Musumeci (auguri), il M5S rischia di diventare marginale. Di “#vincerepoi”, come nel 2014, o di fare il pieno senza però avere i numeri per governare. E magari, chissà, tutto questo alla Casaleggio Associati non dispiace. In Rete ogni critica al Movimento è vietata, scatenando puntualmente insulti e reazioni da bimbominkia: anche questo fa male al M5S, portandolo a commettere sempre gli stessi errori e a somigliare alla caposseliana accolita dei rancorosi. Non è un momento facile e dentro il Movimento, al di là delle dichiarazioni di facciata, lo sanno bene. Ci si potrebbe quindi chiedere perché il loro consenso non scenda. La risposta è facile: chi vota 5 Stelle, quasi sempre, sta dando l’ultima chance alla politica. Se deludono anche loro, l’unico sbocco dell’elettorato “grillino” sarà l’astensione: a votare Renzi o Salvini non ci pensano proprio.