I nostri governanti parlano dell’affare Fincantieri-Stx con lo stesso linguaggio felpato e fumoso con cui si ricattano a mezzo stampa sulle alleanze per le elezioni del 2018. Nascondono la verità dietro a una selva di aggettivi, come se in gioco ci fossero gli arabeschi strategici dell’avvocato Pisapia e non il futuro di decine di migliaia di lavoratori. Ma, come sa ogni disoccupato, le vicende economiche si misurano in euro e non con gli slogan da televendita tipo “Airbus del mare”.
Sugli ambìti cantieri navali francesi Stx è stata messa in scena una trattativa muscolare tra governi a colpi di pacta sunt servanda. Ma valgono 120 milioni, mentre la Fincantieri vale 1,7 miliardi. Il governo dovrebbe rispondere a una semplice domanda: che cosa ha comprato la Fincantieri? A quanto abbiamo capito dai segnali di fumo, Francia e Italia hanno litigato sul controllo di una società che vale un terzo dei magazzini Unieuro. Alla fine hanno inventato una supercazzola grazie alla quale tutti dicono di aver vinto, roba da elezioni siciliane. L’unica cosa certa è che il governo italiano si è impegnato, a nome della Fincantieri quotata in Borsa, a non licenziare nessuno dei 2600 dipendenti di Stx: sarebbe interessante sapere se alla Fincantieri è vietato dal governo anche licenziare nessuno dei suoi circa 20mila dipendenti.
Che cosa c’è dietro? I francesi hanno detto agli italiani: va bene, se proprio volete questi benedetti cantieri che non valgono niente, allora facciamo un’alleanza a tutto campo anche sulle navi militari. Gli italiani hanno obbedito ed è nato il solito tavolo di lavoro a cui siedono due aziende: la Fincantieri e la francese Naval Group. In una nave da guerra metà del valore sta nello scafo, l’altra metà nell’elettronica e nelle armi: radar, sistemi di puntamento, missili, cannoni, siluri e via uccidendo. La differenza è che Naval Group fa il prodotto completo, Fincantieri fa solo gli scafi e ci monta sopra l’equipaggiamento tecnologico della consorella Leonardo-Finmeccanica, la quale però è stata esclusa dalla edificanda alleanza. Le armi sulle navi italo-francesi le metterà la francese Thales, azionista di peso di Naval Group. E Leonardo a chi venderà i suoi cannoncini? Per una delle cosiddette eccellenze industriali del Paese potrebbe essere la condanna a morte. Ma l’importante, per politicanti e manager, è non parlarne.
Come hanno riferito giovedì scorso sul Fatto Carlo Di Foggia e Marco Maroni, l’accordo finale prevedeva che al tavolo ci sarebbe stato posto anche per “altre industrie militari”, ma le tre parole sono state espunte da un intervento dell’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono. Il numero uno di Leonardo Alessandro Profumo, che come siluri conosce solo quelli che lo hanno fatto fuori da Unicredit sette anni fa, ha provato a protestare con il suo legnoso aplomb da uomo che non deve chiedere mai, ma è stato asfaltato da Bono che vive da sempre nel mercato delle armi. Per Fincantieri l’accordo è una pacchia e pazienza per Leonardo. L’idea di fare sistema la lasciamo ai convegni confindustriali utili solo a chiedere nel retropalco un favore al ministro invitato. A una riunione con i ministri Calenda, Padoan e Pinotti e le due aziende interessate, secondo l’informato blog www.giannidragoni.it, Bono avrebbe così liquidato i timori di Leonardo: “Cosa volete voi che siete quasi falliti?”.
Il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che essendo genovese tiene al destino di entrambe le aziende, all’indomani dell’accordo intergovernativo di Lione si è limitata a un messaggio in codice: “Chiediamo scelte paritetiche e simmetriche”. Così un giorno potrà dire ai nuovi disoccupati dell’ex Finmeccanica che lei l’aveva detto. Come la Banca d’Italia con il bail in.