Nonostante fosse accreditato alla Camera, Filippo Roma delle Iene, con i suoi tecnici, non è stato fatto entrare. Anzi, è stato fermato a spintoni dai commessi. Altra incursione del programma Mediaset ieri a Montecitorio, per chiedere a Laura Boldrini come sia possibile che la collaboratrice non pagata del deputato Mario Caruso avesse il tesserino per entrare a Montecitorio. Per avere la tessera, infatti, serve un contratto. Per il gruppo parlamentare a cui appartiene, “Democrazia solidale-Centro Democratico”, invece, Caruso deve scusarsi con la sua assistente, pagarle quanto dovuto e interrompere subito il rapporto di collaborazione con il figlio del sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, di cui la collaboratrice faceva le veci.
Il caso dell’assistente presa dal parlamentare per coprire il figlio di Rossi, assunto per quel ruolo ma mai recatosi al lavoro e scoperto dalle Iene è solo uno dei numerosi episodi vergognosi che riguardano il sottobosco dei lavoratori del Parlamento. In questi anni si è visto di tutto, dal collaboratore pagato in nero a quello non pagato affatto, da laureati con dottorato contrattualizzati come colf e badanti ad assistenti che ricevono lo stipendio ma poi devono rigirarlo in larga parte al parlamentare. Più, naturalmente, casi di avance sessuali, come quelle denunciate alle Iene della ragazza in questione.
Ieri della vicenda è tornata a occuparsi la Boldrini, che ha inviato una lettera ai questori di Montecitorio chiedendo di “effettuare una dettagliata ricostruzione su quanto è avvenuto”. Mentre la protagonista di questa storia ha ricevuto offerte di contratto in regola da parte di diversi gruppi parlamentari. Ma per una che parla, sono decine che restano nell’ombra. “Se ti fai il nome di rompi scatole, magari perché chiedi un contratto regolare, poi farai fatica a trovare qualcuno disposto ad assumerti”, racconta un assistente.
Solo dopo l’esplosione del caso Iene, dunque, il Palazzo è tornato a occuparsi della questione. La presidente della Camera ieri ha incontrato i rappresentanti dell’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp) assicurando loro di fare il possibile affinché la vicenda possa essere risolta entro fine della legislatura. Nella lettera ai questori, Boldrini ha esortato l’ufficio di presidenza “a valutare possibili iniziative da adottare, anche sul piano della normativa interna, affinché simili episodi non abbiano a ripetersi”. Il problema, finora, è stata la mancanza di volontà politica dei partiti. A Montecitorio sono attivi 628 contratti (su 630 deputati), di cui 364 per collaboratori che lavorano alla Camera, il resto nei collegi. Ogni deputato per i collaboratori percepisce 3.690 euro (4.180 in Senato) di cui solo il 50% (1.845 euro) deve essere rendicontato. Ma ciò che finisce in tasca all’assistente è ben poco: la stima oscilla tra gli 800 e i 1.200 euro, sotto la forma dei contratti più disparati: co.co.co, partite Iva, contratti di consulenza o a tempo determinato. Una giungla senza diritti.
Per questo l’Aicp chiede un nuovo regolamento simile a quello del Parlamento europeo, dove i soldi non transitano tramite il parlamentare, ma direttamente dall’istituzione al collaboratore: il deputato segnala solo la persona da assumere, la forma di contratto e il relativo stipendio. I partiti, però, fanno orecchie da mercante, mentre per il questore Stefano Dambruoso “non ci sono soldi per eventuali aumenti di spesa”. Per cambiare le cose basterebbe una delibera votata dall’ufficio di presidenza (22 deputati di tutti i gruppi). “Finora abbiamo sentito tante belle parole, ma poi tutti si sfilano”, racconta Lorenzo Carrozza, vice presidente Aisp. I collaboratori parlamentari questa mattina, saranno protagonisti di un flash mob davanti a Montecitorio. “Rimandare alla prossima legislatura – dicono – significa perdere altri 5 anni…”.