Siluro del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini a Piercamillo Davigo, presidente di sezione della Cassazione ed ex pm di Mani Pulite. Legnini si è ben guardato dal fare il suo nome ma il riferimento è lampante: “In nessun Paese europeo è consentito passare con tanta facilità dai talk show o dalle prime pagine dei giornali a funzioni requirenti e giudicanti fino alla presidenza di collegi di merito e di Cassazione”, ha detto ieri pomeriggio al congresso degli avvocati penalisti di Roma.
La colpa di Davigo è di essere stato prima ospite di Giovanni Floris a Di Martedì (La7) dove, tra l’altro, ha detto che l’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, assolto recentemente da alcune accuse, in un altro processo non aveva rinunciato alla prescrizione (come aveva annunciato, ndr) e per questo dovrebbe “vergognarsi” dato che un uomo delle istituzioni deve ricoprire gli incarichi “con disciplina e onore” come dice la Costituzione. Poi, ospite di Serena Bortone ad Agorà (Rai3) ha parlato di lotta all’evasione fiscale: “Uno paga le imposte solo se non pagarle diventa sconveniente, altrimenti non le paga”.
Ma l’attacco di Legnini ha poco o nulla a che vedere con gli interventi televisivi del giudice o con l’intervista al Corriere della Sera per dire che è partita una querela in merito a quanto scritto dal Giornale, “totalmente falso”: un vertice con Beppe Grillo e un suo emendamento per impedire a Silvio Berlusconi di candidarsi. La bordata di Legnini, invece, ha molto a che vedere con il pressing dei magistrati di Autonomia e Indipendenza che vogliono Davigo, fondatore e leader della corrente nata dalla scissione di Magistratura Indipendente, candidato alle elezioni 2018 per il rinnovo del Consiglio: se dovesse accettare, prenderebbe una caterva di voti. Finora ha detto di non volersi candidare ma intanto ha presentato domande al Csm per nulla gradite ai vertici e a molti consiglieri, esattamente come la sua eventuale candidatura: una per concorrere alla presidenza della Cassazione e una per la Procura generale, sempre della Suprema Corte. Per inciso, se fosse nominato a una delle due cariche, andrebbe di diritto al Csm.
Davigo, non è un mistero, è un candidato scomodo, sicuramente inviso a Legnini, unico vicepresidente del Csm proveniente da un governo e al resto dei politici (con alcune eccezioni) a cui non le ha mandate a dire quando era presidente dell’Anm, il sindacato delle toghe. Ha pure l’aggravante di aver parlato contro “le nomine a pacchetto” fatte dal Csm. Legnini, davanti alla platea dei penalisti, ha proseguito la sua invettiva dicendo che “arginare il fenomeno spetta a tutti i protagonisti, a chi tiene al rispetto sacrosanto dell’indipendenza della magistratura che deve essere percepita come tale dai cittadini. Non è in discussione la libertà d’espressione, ma c’è bisogno di recuperare senso di responsabilità, un esercizio equilibrato delle funzioni, tanto più se si parla di funzioni giudiziarie”. Una lezione di comportamento istituzionale che evidentemente non deve valere per sé se si pensa alle esternazioni sul caso Consip e le polemiche contro i pm di Napoli. Nonostante il ruolo di massimo garante dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ad aprile, per esempio, durante una conferenza stampa per motivare il no del Comitato di presidenza a una prima richiesta di apertura pratica su Consip, aveva condannato la Procura partenopea: “Mi sembra evidente che a Napoli qualcosa non sia andato, tanto che Roma indaga su una presunta falsificazione di un’informativa da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria e sulla fuga di notizie coperte da segreto… Sono grato alla Procura di Roma”. E pensare che potrebbe giudicare i pm napoletani Woodcock e Carrano sotto procedimento disciplinare.