Non ci sta Mimmo Lucano a passare come uno dei tanti politici malandrini e truffatori che speculano sui bisogni dei rifugiati. Riace è il paese dell’accoglienza e lui non è un Buzzi qualsiasi. Il suo borgo, che dall’alto di colline bianche di calcare guarda allo Jonio, non è Mafia Capitale. Venerdì in centinaia hanno affollato le piazze del suo paese per portargli solidarietà. “Non posso accettare che per colpa mia si mortifichi un ideale”, ha detto con le lacrime agli occhi.
Le accuse che rischiano di stritolarlo sono pesanti, “truffa aggravata allo Stato e alla Ue, concussione, abuso d’ufficio”. La morte del modello Riace. Quello che ha portato la rivista Fortune ad inserire Lucano tra le cinquanta personalità più influenti del mondo, e che fece dire a Wim Wenders che “la vera utopia non è il crollo del Muro, ma quello che sono riusciti a fare a Riace”. E allora Mimmo ’o curdu (come lo chiamano) vuole essere interrogato e subito. Martedì sarà davanti ai pm di Locri. Ma prima vuole che si passi al setaccio la sua vita. Proprietà, conti correnti, beni della sua ex moglie e dei suoi tre figli e quelli del padre, maestro elementare in pensione. Noi lo abbiamo fatto. Lucano ha una piccola casa al borgo, una Giulietta comprata a rate, e due conti alle poste, con un unico versamento fisso, poco più di mille euro, la sua indennità da sindaco. Solo a giugno di quest’anno una impennata, un bonifico di 10mila euro accreditato dalla associazione umanitaria tedesca Friends of Dresden Deutschland.
Erano il frutto di un premio, soldi suoi, quindi, che in buona parte (9500 euro prelevati ad agosto) ha destinato “ad attività di accoglienza”. Un altro premio in denaro, scrive nella lettera inviata al procuratore di Locri, ha voluto che fosse destinato ai terremotati di Amatrice. Ma la battaglia di Lucano è difficile, perché il conflitto che ha innescato è di livello altissimo. È lo scontro tra legalità formale e giustizia sostanziale, emergenza e regole burocratiche, umanità e protocolli, freddi burocrati e uomini in carne e ossa.
Leggere le varie relazioni fatte, nell’ordine dal Servizio centrale di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati e dalla Prefettura di Reggio Calabria, è fare un viaggio in un labirinto di articoli di legge, commi, capitolati d’appalto. Un insieme di regole formali, che così come sono non funzionano. Se si vuole assicurare una vita dignitosa e l’integrazione dei profughi, vanno cambiate radicalmente, sostiene Lucano. Destinato sempre a scontrarsi con un “tuttavia”, avverbio onnipresente nelle conclusioni degli ispettori. Relazione del dicembre 2016 della prefettura di Reggio, frutto di una ispezione richiesta dallo stesso sindaco Lucano dopo quella del Servizio centrale di protezione del 20-21 luglio. Premessa.
“Il modello Riace assicura la necessaria accoglienza e assistenza nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità degli stranieri”. Rapporti con gli abitanti: “Pacifica convivenza. Clima di armonizzazione e serena integrazione”. Lavoro degli immigrati e laboratori artigiani: “Virtuosa riqualificazione ambientale grazie a progetti sostenibili”. Tutto bene? No, perché a questo punto irrompe il mortale “Tuttavia”… “Tuttavia gli aspetti positivi non giustificano di per sé previsioni derogatorie alla normativa vigente”.
Gli ispettori venuti da Reggio, e che vogliono smontare “l’idilliaco alone” che aleggia su Riace, contestano le concessioni con gli enti esistenti (le coop sorte in paese), le strutture di ricezione (le case date ai migranti, il cui costo mensile, 300 euro, è giudicato alto), l’assunzione dei 70 operatori, la carenza di personale specializzato. Un numero consistente di profughi viene ancora ospitato nonostante la scadenza dei termini previsti dalla legge.
Poi la bomba: a Riace si batte moneta, come fosse uno Stato autonomo. Si tratta di buoni di carta che vengono dati agli ospiti per fare la spesa. Sono parte dei 35 euro destinati per ogni migrante e hanno impresso l’immagine del Che, di Berlinguer e Pasolini. I pochi commercianti di Riace li accettano in attesa di essere pagati con i soldi veri, quelli del ministero che arrivano sempre con mesi di ritardo. Quei “buoni”, si legge in un’altra relazione del Servizio centrale sono “succedanei della moneta”, acquistate i ticket, oppure ricorrete a prestiti bancari in attesa dei soldi del Viminale.
Risposta di Lucano: “Non voglio sottrarre risorse ai progetti per pagare interessi bancari”. Le controdeduzioni di Mimmo Lucano alle relazioni, sono durissime. Le ispezioni sono state “eseguite in modo approssimativo e parziale”, non sono stati sentiti gli immigrati, né le gente di Riace. “Avete controllato solo carte e documenti. Vi siete limitati alla burocrazia”. Sugli affidamenti diretti. Ad ogni sbarco, “ministero e prefettura mi chiamavano per ospitare altre persone, se c’è stata mancanza di iter trasparenti, questa può essere una responsabilità condivisa con gli organi superiori”.
Si sono utilizzate le cooperative del posto “perché avevamo bisogno di coinvolgere la popolazione locale. Non vogliamo aprire le porte alle holding dell’accoglienza che controllano il mercato, spesso illegale, della gestione di mega centri e di Cara su scala nazionale”. Noi non abbiamo “costruito ghetti”, ma “accoglienza diffusa”, da qui la ristrutturazione e l’uso delle case abbandonate del borgo. Infine la risposta sugli immigrati trattenuti oltre i tempi previsti dalla normativa. “Per evitare le critiche degli ispettori dovremmo abbandonarli?”, scrive Lucano. “ Se dopo sei mesi ci ritroviamo in strada decine di immigrati, qual è l’utilità del progetto e della relativa spesa? Questo epilogo tutela l’ordine pubblico e la legalità, oppure favorisce criminalità e disordine?”.
Gli esseri umani “non hanno scadenza”, dice Mimmo ’o curdu, “e l’accoglienza non è un valore ad orologeria”. Burocrazia e realtà. A Riace 150 rifugiati sono usciti dai progetti di assistenza e vivono stabilmente in paese, “definitivamente inseriti nel contesto sociale ed economico”. È l’utopia della normalità.
(di Enrico Fierro e Lucio Musolino)