C’è un fantasma francese che si aggira nel mercato delle telecomunicazioni e minaccia i gestori italiani che, al solo sentire parlare di “trasparenza”, “tutto compreso” o “gratuito”, tremano come foglie. Questi, infatti, i principi cardine che muoveranno l’offerta di Iliad anche nel nostro mercato. La società di Xavier Niel, che in Francia si è fatta conoscere per le sue tariffe low cost, dovrebbe sbarcare entro fine anno. Iliad sa che ad attenderla c’è un mercato anomalo, in cui nell’ultimo anno gli operatori hanno aumentato il ricavo medio per utente (Arpu) pur lanciando tariffe a basso prezzo. E, dal momento che non si stratta di maghi ma di società, il suo dubbio è che il maggior guadagno derivi dalla rimodulazioni o dall’introduzione di servizi aggiuntivi a pagamento di cui sono inzeppati i piani tariffari.
La questione è però più subdola delle sole attivazioni di chat erotiche, oroscopi o abbonamenti alle suonerie. I 13 milioni di italiani che nel 2016 hanno cambiato operatore – portando a quasi 100 milioni il numero delle sim che Wind-Tre, Tim, Vodafone si spartiscono per il 90% – oltre a essersi ritrovati con il rinnovo delle tariffe a 28 giorni, hanno fatto la fortuna dei big telefonici. Si stima che sul totale di ricavi annui da nuove sim pari a 2,5 miliardi di euro, circa il 35% – vale a dire 750 milioni di euro – derivi dai costi nascosti. Mentre, nel complesso del mercato, su 16 miliardi di euro di ricavi annui, circa 2 miliardi arrivano da queste gabelle.
Un giochetto che ha permesso ai big telefonici di fermare un’emorragia durata nove anni. Dal 2007 (l’anno in cui è stato liberalizzato il mercato) al 2015 (l’anno in cui i gestori hanno iniziato a inserire i balzelli), gli operatori hanno registrato una perdita nei ricavi di oltre 14 miliardi di euro, quasi un terzo del valore iniziale; solo il mobile ha perso il 33 per cento (8 miliardi), poi due anni fa i ricavi si sono avvicinati alla stabilizzazione con una perdita di soli 300 milioni. I bilanci 2016 dei gestori trasudano soddisfazione per la ritrovata capacità di farsi dare più euro da ogni singolo cliente, manovrando con astuzia prezzi e tariffe.
Quali sono, allora, questi costi nascosti? Per capirlo, basta prendere il piano tariffario di base delle sim di Tim, Vodafone e Tre-Wind (leader di mercato con una quota del 32,7%) – ai quali il Fatto Quotidiano ha chiesto conto – e confrontare quello che viene spacciato nei depliant con l’importo che si sborsa realmente.
Costo piano tariffario. Oltre all’opzione scelta (es. 10 euro ogni 4 settimane, 1.000 minuti e 5 gb), il cliente deve pagare minimo 0,49 centesimi in più ogni 28 giorni (vale a dire circa 2 euro al mese) solamente per avere diritto alla possibilità di fare telefonate a consumo, una volta esauriti i minuti e/o i gb compresi. Insomma, è come se ci fossero due canoni: uno del piano tariffario e uno dell’opzione, che però viene nascosto. In cambio si hanno alcuni vantaggi, come i biglietti per il cinema o chiamate e sms senza limiti verso un altro numero, che nessuno ha però richiesto. Ma guai a disattivare il One Prime Go di Tim per passare a un altro piano: dallo scorso giugno farlo costa 3 euro online e 7 euro nei negozi. E se, intanto, il nome vi ricordasse qualcosa, è perché Tim già a febbraio 2016 ha attivato ai propri clienti il Prime come servizio aggiuntivo a pagamento non richiesto, in violazione del Codice del consumo. Poi, dopo la denuncia dell’Aduc (associazione consumatori), un pronunciamento dell’Agcom e l’avvio dell’istruttoria dell’Antitrust, Tim ha rinunciato all’attivazione del Prime, salvo poi rilanciarlo come tariffa base. “Una sorta di accanimento – spiega Emmanuela Bertucci, legale dell’Aduc – spiegato dalle cifre da capogiro: anche se la nuova versione Go venisse attivata sul minimo di utenze, 10 milioni, porterebbe nelle casse della società 19 milioni e 600 mila euro al mese”. Per i nuovi clienti Vodafone è, invece, previsto un contributo di attivazione di 3 euro e in regalo per tre mesi si ha “Rete Sicura” (un servizio contro i virus che gli altri gestori non fanno pagare). Ma se poi il cliente si dimentica di disattivarlo, dovrà sborsare un altro euro ogni 4 settimane. In casa Vodafone, però, la madre di tutte le beffe si chiama Exclusive (1,9 euro ogni 4 settimane su richiesta) con cui il gestore ha fatto da apripista ai servizi accessori non richiesti. Il 16 marzo 2016 l’Antitrust ha, infatti, condannato l’operatore, su denuncia di Aduc, alla multa di un milione di euro per l’illegittima attivazione, vietandone la continuazione. Il provvedimento però si è limitato a sanzionare Vodafone solo per i contratti sottoscritti dopo il 13 giugno 2014, circa 4 milioni, escludendo altri 15 milioni di clienti. “Abbiamo intimato alla società – ricorda la Bertucci – di rimborsare i 19 milioni di clienti totali, grazie ai quali Vodafone ha intascato 252 milioni e 700 mila euro”. Come è andata a finire? Il gestore ci ha fatto sapere di “aver assolto a tutti gli impegni presi”, ma non ci ha comunicato il totale dei rimborsi erogati, che non sembrerebbero tali da aver compresso il bilancio del 2016: i ricavi da servizi hanno raggiunto 5,3 miliardi di euro, in crescita per il quinto trimestre consecutivo, grazie in particolare all’incremento dell’Arpu.
Segreteria telefonica. È un servizio “nativamente” inserito in tutte le sim con un giochetto da maestri: tecnicamente la segreteria non comporta alcun addebito a eccezione dei costi per l’ascolto dei messaggi eventualmente ricevuti. Che, per i clienti che non lo sapessero, vanno dai 12,40 centesimi di Wind, ai 20 cent di Tre, fino a 1,5 euro di Tim (che sul contratto scrive 150 centesimi) e Vodafone a chiamata.
Servizi di reperibilità. Anche se nel 2015 Telecom e Vodafone sono state sanzionate per 900 mila euro per aver imposto ai clienti l’acquisizione implicita di questi servizi, che da allora sono diventati a pagamento, i nuovi clienti Tre sono tuttora costretti per il primo mese a sborsare 1,5 euro e quelli di Wind 19 centesimi per 7 giorni di utilizzo per qualcosa attivato di default.
Servizi premium. Basta un tocco di troppo sullo schermo del cellulare, magari solo un po’ più di pressione per chiudere un’applicazione, e dal proprio credito spariscono minimo 5 euro, che diventano 10 euro dopo una settimana. Ci si è ritrovati abbonati a servizi di suonerie, screensaver, oroscopi o giochi, dove non servono consensi né carte di credito. Secondo l’Agcom le attivazioni nel 2016 sono state oltre 500 mila che vengono pubblicizzati attraverso banner e pop up. Poco importa che nel 2015 l’Antitrust abbia punito con una maxi sanzione di 5 milioni di euro gli operatori: si sono giustificati dicendo di non c’entrare nulla anche se ricevono una percentuale per ogni cliente che attiva il Servizio premium. Tre, intanto, che è stata condannata dall’Agcom anche per gli strani addebiti che hanno prosciugato il credito di ignari clienti dovuti a traffico o servizi attivati senza rendersene conto, attiva a tutti l’opzione 4G Lte, che consente di accedere alla rete dati ad alta velocità, al costo di un euro al mese con rinnovo automatico salvo disdetta.
Credito residuo. Solo Vodafone lo fa pagare dallo scorso ottobre se si chiama il numero 414: si spendono minimo 40 centesimi (l’importo è tariffato secondo il piano della sim).
Chiamate internazionali. Ogni volta che il cliente chiama verso una destinazione fuori dall’Europa, dove è stato abolito – o quasi – il roaming, si pagano da un minimo di un euro al minuto a un massimo di 3 euro considerando lo scatto alla risposta e il primo minuto di chiamata.
Chiamate extra soglia. Cosa succede se i clienti dei gestori telefonici finiscono i minuti o gli sms inclusi in queste offerte base? Sono dolori. Le chiamate extra-soglia si pagano, infatti, carissime. E l’unica difesa che hanno i consumatori è controllare molto spesso il contatore per non trovarsi a dover pagare fino a 40 centesimi per ogni minuto extra, 29 centesimi per ogni sms extra e 5 o 10 euro per ogni gigabyte extra di traffico internet.