Indignarsi è giusto. Ma spesso ragionare è meglio. Per questo è il caso di chiedersi quanto si stia diffondendo tra gli italiani l’opinione di Ilaria D’Amico che il 3 ottobre, davanti a un esterrefatto Piercamillo Davigo, ha detto senza giri di parole: “Non sono più la purista di un tempo. Per me è meglio sopportare qualche corrotto piuttosto che avere uno Stato rotto”. In assenza di sondaggi sul tema, chi scrive può solo andare a naso. Da questo punto di vista, la sensazione è che, man mano che ci si avvicina alle elezioni, l’affermazione della D’Amico raccolga sempre più proseliti. Anche tra persone oneste convinte, come la maggioranza dei cittadini (e questo lo raccontano invece i sondaggi), che l’Italia sia uno dei Paesi più corrotti d’Europa. A prima vista il fenomeno potrebbe spiegarsi con la rassegnazione.
Quando per anni si protesta e ci si schiera contro la Casta e i tangentisti, senza che poi i risultati arrivino, cresce la voglia di dire basta. In molti finiscono per chiudersi in se stessi. Pensano alla propria famiglia, ai propri affari e danno per persa la partita. “Intanto non cambia mai niente”: quante volte abbiamo sentito ripetere la frase? Accanto alla rassegnazione, però, questa rubrica ritiene che dietro il D’Amico pensiero, preso come archetipo degli sfiduciati, ci siano pure ragioni geografiche e politiche. Nelle regioni più ricche, dove i servizi pubblici bene o male funzionano, è – per esempio – più semplice ignorare i danni che la corruzione provoca all’economia e alla società.
La cosa ha dei precedenti storici precisi. A Milano i più anziani ricordano ancora con simpatia il sindaco socialista Carlo Tognoli. Anche lui, come il suo successore Paolo Pillitteri, ha avuto un ruolo importante nel sistema milanese delle mazzette. Durante la sua sindacatura, però, sono state realizzate opere pubbliche rilevanti. E il fatto che alla fine siano costate (causa bustarelle) più del dovuto è stato perdonato dall’opinione pubblica. Sia perché i miglioramenti della città si sono visti, sia perché in quel periodo il benessere nella metropoli era diffuso. Al contrario in molti hanno un pessimo ricordo di Pillitteri. Legato non solo alle vicende giudiziarie. Contro di lui gioca pure l’enorme ritardo con cui la sua giunta arrivava alla conclusione delle opere (celebre era la lentezza nella costruzione del nuovo Piccolo Teatro). In questo modo, agli occhi dei cittadini, diventava evidente come politici e imprenditori avessero una precisa convenienza economica nel tenere aperti i cantieri all’infinito. Ma non basta. Alla rassegnazione che avanza non sono estranee nemmeno le speranze riposte nei 5stelle.
Inutile girarci intorno. L’amministrazione di Roma, proprio come detto dai pentastellati al momento dell’elezione di Virginia Raggi, è stata percepita dagli elettori come la prova generale della loro capacità di governare. Sull’operato della giunta ciascuno può pensarla come gli pare. È però innegabile che l’immagine della sindaca si sia di mese in mese indebolita. Analizzare qui il perché è a questo punto irrilevante. Il risultato è che una fetta importante di italiani dubita che i 5stelle siano un’alternativa reale ai politici tradizionali. Per questo l’idea di presentare la squadra dei ministri prima delle elezioni è l’unica via possibile per sperare di recuperare fiducia. Non in loro, ma nelle possibilità di cambiamento. La strada è però è in salita. Perché in Italia molti sono pronti a salire sul carro dei vincitori. Ma solo pochi sono disposti a esporsi prima, quando la partita è ancora da giocare.