La legge Orlando sulle intercettazioni intreccia problemi di indagini, di difesa e di informazione. Ne parliamo con Katia Malavenda, avvocato ed esperta di diritto dell’informazione.
Il presidente Paolo Gentiloni dice che si mette fine “all’abuso” di intercettazioni, il ministro Andrea Orlando sostiene che “si riduce il rischio della fuga di notizie” penalmente irrilevanti. Ci voleva questa legge?
Questo intervento non mi sembra necessario, visto che la tutela delle persone estranee alle indagini e, più in generale della privacy, era già prevista da apposite norme. La mancata introduzione di nuove figure di reato lo conferma. La Cassazione, del resto, ha scritto che le norme sulla segretezza delle indagini sono poste a garanzia del loro corretto andamento e della terzietà del giudice del dibattimento. E ha aggiunto che la riservatezza dei terzi o anche dell’indagato è estranea al divieto di pubblicare gli atti delle indagini ed è soggetta a divieti diversi, già esistenti.
Con la nuova legge la selezione delle intercettazioni comincia con la polizia giudiziaria che potrà trascrivere solo quelle rilevanti e poi il pm deve stabilire quali utilizzare e riportare nei provvedimenti, così come il giudice. Non creerà dei problemi e complicherà le indagini?
Ritengo sarà difficile, per chi deve redigere i brogliacci, selezionare tutte le conversazioni sulla scorta di una norma di non facile applicazione; non sarà facile per il pm dissentire e far trascrivere alcune di quelle scartate, anche per le possibili conseguenze di un errore di valutazione. Esiste, infatti, un divieto esplicito di trascrivere conversazioni irrilevanti per le indagini che riguardino anche dati personali sensibili, ad esempio quelli riguardanti la salute o la vita sessuale. Chi dovesse sbagliare la valutazione, violandolo, dovrà risponderne, direi pure in sede penale, anche se hanno agito in buona fede. C’è persino il rischio che i criminali più avveduti comincino a fare palesi riferimenti a dati sensibili, apparentemente irrilevanti per le indagini, la cui trascrizione potrebbe creare non pochi problemi
C’è anche la questione dell’archivio riservato che ha suscitato la protesta degli avvocati: è lì che devono essere riversate le intercettazioni che il pm ritiene di non dover utilizzare e la difesa può ascoltarle ma non acquisirle e restano segrete.
Il decreto introduce così un’eccezione al principio secondo cui gli atti che l’indagato e, quindi, il suo difensore, possono conoscere, non sono più segreti. Se l’indagato, avuta notizia dal suo legale di un’intercettazione che è in archivio, dovesse parlarne con un giornalista, chi ne risponderà, oltre chi l’ha pubblicata? L’avvocato? O l’indagato?
I giornalisti non potranno conoscere, come avviene già adesso, le intercettazioni di fatti strettamente privati ma neppure quelle non rilevanti penalmente ma di grande interesse pubblico.
Certo, ora l’accesso alle conversazioni dell’archivio riservato sarà assai complesso, visto che il suo contenuto è noto solo a pochi soggetti e non viene messo in deposito, anche se è conosciuto dalle parti. La fuga di notizie, assai rara, visto che di solito il termine viene usato a sproposito, per stigmatizzare la diffusione di atti non più segreti, in realtà sarà più difficile, a scapito di un’informazione la cui rilevanza non sempre coincide con quella processuale.
Che fine fanno le registrazioni effettuate ma non ancora trascritte? E quelle che si stanno eseguendo a cavallo tra la due norme?
Il nuovo regime si applicherà alle intercettazioni che verranno disposte dopo la sua entrata in vigore. Quelle non ancora depositate in quel momento seguiranno la precedente disciplina. Rimane il problema di quelle in corso, proprio in quel momento, per le quali una parte dei brogliacci sarà già stata scritta.