Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti è indagato dai pm di Roma dopo che la X sezione penale del Tribunale – che ha condannato Massimo Carminati e Salvatore Buzzi (per associazione a delinquere semplice, non per mafia) – ha inviato alla Procura i verbali resi da alcuni soggetti chiamati a testimoniare durante il processo. La notizia della trasmissione degli atti è di venerdì scorso, ma oggi Il Fatto è in grado di confermare che è avvenuta l’iscrizione nel registro degli indagati del presidente della Regione Lazio. Non è la prima volta che l’inchiesta Mafia Capitale rappresenta una grana per Zingaretti, sempre estraneo alle vicende legate all’indagine madre.
Dopo le dichiarazioni di Salvatore Buzzi, il governatore infatti era stato iscritto per concorso in turbativa d’asta in relazione alla gara per il servizio Cup (centro unico prenotazioni sanitarie) istituita nel 2014 dalla Regione Lazio. Vicenda archiviata. Adesso Zingaretti però rischia di vedere aprirsi un altro capitolo. I giudici della X sezione del Tribunale hanno chiesto ai pm capitolini di indagare su quanto ha detto in aula. Non c’è alcuna certezza, ma solo il sospetto “di una testimonianza falsa o reticente di Zingaretti”. Che nei giorni scorsi si è detto “assolutamente sereno sui fatti, ma amareggiato. Ho fatto della difesa della legalità la mia ragione di vita”. Se i sospetti dei giudici sono fondati lo stabilirà la Procura di Roma che potrà decidere di archiviare la sua posizione. Come quella di altri finiti nella lista trasmessa dal Tribunale ai pm.
Tra i 27 nomi c’è anche Micaela Campana, responsabile nazionale welfare del Pd. Nelle motivazioni della sentenza che ha escluso la mafia, i giudici scrivono: “Conclusivamente si sospetta di reticenza e/o falsità la testimonianza resa da Campana Micaela in relazione ai suoi numerosi ‘non ricordo’, spesso del tutto inverosimili in quanto apodittici e non meglio motivati e contrastanti con il contenuto chiaro delle intercettazioni telefoniche attinenti ad argomenti importanti nella vita politica o personale della donna”.
Per il tribunale – così è scritto nell’atto del 17 ottobre – sono anche “emersi elementi di reità in ordine al reato di calunnia per il teste assistito Roberto Grilli”, ossia il collaboratore di giustizia che sentito in aula non ha confermato alcune accuse fatte all’ex Nar Massimo Carminati davanti ai pm: “Sono dichiarazioni orchestrate – aveva detto Grilli in aula – e organizzate dal mio avvocato per ottenere la protezione. (…) Ho dato retta a quel legale…”. Il giorno della sua testimonianza, i pm a sorpresa hanno depositato la trascrizione di un audio registrato durante un incontro tra Grilli e il capitano del Ros, Antonio Corvino, che era andato a consegnargli l’atto di citazione per la testimonianza: “Capitano… – diceva – il mio profilo basso fino adesso mi ha garantito di stare in vita a Roma… Adesso, dopo questa cosa, non so’ più garantito con nulla (…) durerò due settimane”.