C’è una parola tedesca per descrivere il sentimento che pervade il popolo di sinistra: Fremdschämen. Fremd, estraneo, e Schämen, provare vergogna. Sentirsi in imbarazzo per qualcosa che qualcun altro ha fatto. Per “popolo di sinistra” intendo la diaspora dei cittadini che qui non votano o votano partiti diversi ma che fossero inglesi avrebbero sostenuto Jeremy Corbyn, americani Bernie Sanders, spagnoli Podemos, francesi Jean-Luc Mélenchon: interrogandosi affatto sulla loro appartenenza ai partiti piuttosto che alla società civile, apprezzando il linguaggio nuovo e movimentista del giovane Iglesias che non nomina mai la sinistra tanto quanto quello vecchio di Corbyn e Mélenchon che stanno in Parlamento da trent’anni, cantano Bandiera Rossa e accusano “I padroni”.
Quel che entusiasma sono le loro proposte radicali, la promessa di giustizia sociale, le critiche feroci al sistema, la coerenza. Il popolo di sinistra che altrove si ritrova e si esalta da noi assiste perplesso a Giuliano Pisapia che lancia “Diversa”, una proposta per chi, ogni giorno, dice una cosa diversa. Al ritorno di Walter Veltroni che scrive la storia di un comunista che prende una botta tremenda, va in coma per anni, si risveglia in stato confusionale e scrive la storia di un comunista che… A Matteo Renzi che ora tratta per spaccare Mdp tra quanti vogliono un nuovo centrosinistra e quanti, invece, rivogliono quello vecchio.
Agli esponenti della società civile che convocano assemblee e le sconvocano per continuare a discutere tra loro su Twitter delle condizioni che avrebbero imposto ai partiti se avessi partecipato all’assemblea che hanno sconvocato: “Non candidare nessuno che avesse avuto incarichi di governo”. Bastava dirlo prima! Ci saremmo risparmiati mesi di discussioni su – e con – Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani sull’oggettiva difficoltà di riaccendere l’entusiasmo in chi ha patito le conseguenze delle riforme Monti e Renzi candidando chi quelle riforme le ha votate. Adesso è troppo tardi. Meglio troppo tardi che mai.