Ora che siamo fuori dai Mondiali, tutti chiedono la testa del presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, Carlo Tavecchio. Questa rubrica no. Chi scrive crede che l’uomo debba restare al suo posto per continuare a rappresentare alla perfezione, non tanto uno sport ormai retrocesso in serie B, ma un intero Paese. Sì, perché mentre mezza Italia gli imputa la colpa di aver scelto per la Nazionale l’allenatore sbagliato, noi quando pensiamo al numero uno della Figc materializziamo nella mente solo l’immagine dell’immortale Ettore Petrolini che a un esagitato spettatore del loggione grida: “Io non ce l’ho con te, ma con chi non ti ha già buttato di sotto”. Attenzione, però, qui il pallone non c’entra. E tantomeno c’entra l’inadeguato mister Gian Piero Ventura. C’entrano invece parole ormai in disuso come reputazione e buon esempio.
A raccontarlo sono i fatti, non le opinioni. Tavecchio viene eletto alla testa della Federazione l’11 agosto 2014 grazie all’appoggio di tutti i 18 club della Serie A. Se fosse stato un politico (attività che peraltro ha svolto per vent’anni come sindaco di un paese della provincia di Como) il suo nome sarebbe rientrato di diritto nell’elenco di impresentabili. Nel curriculum vanta infatti una serie di piccole condanne, inflitte tra il 1970 e il 1998, per molti reati: concorso in falsità di titolo di credito, evasione fiscale e Iva, violazione delle norme antinquinamento, omissione di versamento delle ritenute e di denuncia. Tutte sentenze per cui Tavecchio ha ottenuto la non menzione, ma che in ogni Paese d’Europa lo avrebbero reso una sorta di appestato. Da noi, no. Siamo cattolici e sappiamo perdonare. Oppure non capiamo.
Così, quando il 25 luglio durante la campagna elettorale per la Federazione, Tavecchio pronuncia pure una brutta frase razzista, in molti alzano le spalle. Per chiarire il suo pensiero sui giocatori stranieri lo stimato dirigente ricorda come “noi (in Italia) diciamo che Opti Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio e va bene. In Inghilterra deve prima dimostrare il suo curriculum e pedigree (l’albero genealogico degli animali, ndr)”. I giornali parlano di gaffe, i club minimizzano. In pochi sottolineano che per delle parole del genere in Inghilterra si viene subito accompagnati alla porta. Risultato: tre giorni dopo, la Fifa (la federazione mondiale) chiede ai colleghi italiani di aprire un’inchiesta. In Italia però tutto viene archiviato dopo la sua elezione. A sospenderlo per sei mesi ci dovranno così pensare la Fifa e la Uefa, facendoci fare la solita figura barbina. Tavecchio però è senza freni. Saltano fuori altre affermazioni sconcertanti. Nel 2015 dice, per esempio, che la sede della Lega è stata comprata da “un ebreaccio” e che lui “non ha niente contro gli ebrei, ma che è meglio tenerli a bada”. Ma è tutto inutile. Nel 2017, col 54 per cento dei voti, viene riconfermato presidente. Tra i suoi grandi sponsor c’è il padrone della Lazio, Claudio Lotito, che in fatto di ebrei ha pure lui le sue idee. Tanto che quando alcuni suoi tifosi se la prendono con Anna Frank, va in Sinagoga a Roma per scusarsi non prima però di aver detto “andiamo a fare questa sceneggiata”. Ecco insomma perché Tavecchio deve restare. Non siamo gli Stati Uniti dove due proprietari di squadre Nba sono stati costretti a vendere i loro team perché criticavano le persone di colore. Siamo una nazione piccola, impaurita, di giorno in giorno più provinciale e razzista. Questo presidente ce lo meritiamo tutto.