Che il politico più bugiardo della storia recente, detto non a caso il Bomba fin dalla più tenera età, dichiari guerra alle fake news, è già molto comico. Che annunci una legge (tanto la legislatura è finita) per multare chi le diffonde (esclusi i presenti) e “un report quindicinale del Pd” per smascherarle (come se spettasse ai partiti accertare la verità), è irresistibile. Che le spacci per una grave turbativa delle prossime elezioni, come se non avesse in mano tutta la Rai e gran parte della stampa, è da scompisciarsi. Tipo il bue che dà del cornuto all’asino. O tipo il suo compare B. che passeggia sulla lingua di Fabio Fazio deplorando la piaga dell’evasione fiscale (dall’alto della condanna per frode fiscale), tuonando contro i parlamentari che cambiano casacca (lui che ne ha comprati a carrettate), accusando la sinistra di non aver evitato i danni dell’euro (partito nel 2002, nel pieno del suo secondo governo 2001-06), citando le “nostre esperienze conoscitive su minori immigrati” (tipo Ruby) senza un pigolio del sedicente intervistatore. Ma il meglio lo danno giornaloni e tv, maggiori produttori mondiali di fake news, che prendono sul serio i due ballisti supremi. E, per darsi importanza, si fanno scudo del New York Times, del Dipartimento di Stato Usa e del celeberrimo Atlantic Council di Washington.
Poi si scopre sul NYT l’articolo sulla Spectre Putin- Salvini-Grillo l’ha scritto un ex hacker di Anonymous, Andrea Stroppa, consulente prima di Carrai e ora di Renzi. Il quale, forse per la giovane età, ignora che i migliori amici di Putin in Italia sono B. (che, dopo vari soggiorni nella famosa dacia, gli ha regalato un piumone votivo) e Renzi (che si oppose a nuove sanzioni alla Russia proposte da vari Paesi Ue, Merkel compresa). Così Renzi sventola il NYT, per darsi un tono internazionale e nascondere la manina del suo hackerino tascabile nei falsi allarmi sulle fake news grillorusse. E il report dell’Atlantic Council The Kremlin’s Troyan Horses (i Cavalli di Troia del Cremlino) sapete di chi è? Uno degli autori è Jacopo Iacoboni della Stampa, con un saggio molto pensoso sull’Italia putinista che cita in quattro note a pie’ di pagina gli articoli di Iacoboni. Del resto trattasi dello scopritore della centrale di fake news russo-casaleggiane capitanata da Beatrice Di Maio, la moglie di Brunetta. Perciò La Stampa lo considera un esperto di fake news: ieri il fake journalist anti-fake ha intervistato (si fa per dire: più che un’intervista, una respirazione bocca a bocca) il “brillante informatico” Stroppa, facendogli sputare un po’ di bile sul Fatto e sul sottoscritto.
Insomma, se la canta e se la suona. Ora, dopo aver sentito Stroppa per confermare le tesi di Stroppa, Iacoboni intervisterà Iacoboni per convalidare le teorie di Iacoboni. Il bello di questa batracomiomachia su un tema che non frega niente a nessuno, è che non si è ancora capito quali sarebbero le formidabili fake news in grado di ribaltare gli esiti delle elezioni. A parte, si capisce, quelle di giornali e tg contro gli oppositori sprovvisti di giornali e tv. Chissà se Renzi ricorda le prodezze della sua Unità (buonanima). Nel 2016, in piena campagna elettorale a Roma, sbatté sul sito il filmato di una ragazza bruna che cantava in piazza “Meno male che Silvio c’è” spacciandola per Virginia Raggi; poi si scoprì che non era lei, ma il direttore Erasmo D’Angelis rifiutò di rettificare e scusarsi perché “questo è giornalismo 2.0”. Nel 2013 invece l’Unità sparò un titolone cubitale su un inesistente “Patto Grillo-Berlusconi” (poi arrivarono i veri patti Napolitano-B., Letta-B. e Renzi-B.). Da allora si ricordano solo fake news anti-M5S (l’ultima è quella del Tg1, rilanciata da tutti i siti, su Di Maio che colloca la Russia nel Mediterraneo, mentre ha detto il contrario). Contro Renzi&C., manco mezza. Infatti si continua a citare il fotomontaggio su Boldrini e Boschi ai funerali (mai avvenuti) di Riina: un po’ meno credibile delle scie chimiche e dei rettiliani. Ieri però Repubblica ne ha scovata una terrificante del 2016: Agnese Renzi che dice “Mi spiace ma anch’io voto No al referendum”.
Ecco finalmente spiegato perché, il 4 dicembre, 20 milioni di italiani bocciarono la schiforma costituzionale: non perché aboliva l’elettività (ma non l’immunità) dei senatori, riempiva il Senato di sindaci e consiglieri inquisiti, non perché incasinava l’iter legislativo con una decina di sistemi diversi, non per l’astuta minaccia (anzi, l’allettante promessa) di Renzi di lasciare la politica in caso di sconfitta. No: perché un buontempone del web s’era inventato che Matteo aveva i gufi pure in famiglia. Ora, per carità, chi si è bevuto la fake news degli americani che votano Trump e degli inglesi che votano la Brexit perché subornati dalle fake news made in Russia, e non per la rivolta mondiale degli esclusi contro gli establishment, può credere di tutto: pure che Renzi abbia perso tutte le elezioni dell’ultimo biennio non per i fallimenti del suo governo, ma perché gli italiani credono alle fesserie di qualche webete. Se, anziché ai soliti camerieri e ai nuovi complottisti, si affidasse a qualche essere raziocinante, scoprirebbe i veri motivi della débâcle: la crisi che non passa, le tasse che non calano, il lavoro che non c’è, la casta che impone sacrifici agli altri, gli scandali Etruria, Consip, Expo, Mose, Mafia Capitale ecc., la gestione sciagurata dei crac bancari, le aspettative create con promesse così mirabolanti che non avrebbero soddisfatto nessuno neanche se lui le avesse mantenute. E, a gettare altro sale sulle ferite, il mantra del “tutto va ben madama la marchesa” che, lungi dal rincuorare chi sta peggio, lo fa incazzare vieppiù. Altro che fake news: il vero guaio di Renzi non sono le notizie false, ma quelle vere.