“La materia è complicata, qui sei dentro la storia del Novecento”. Il senatore del Pd Ugo Sposetti vola alto e non ha tempo di spiegare l’emendamento 29.0.24 alla legge di Bilancio approvato in commissione. Se confermato dai voti in aula, ribalterà il codice civile in favore dei soci delle cooperative. In realtà chiunque, anche senza meditare la profondità del Novecento, può capire: “L’articolo 2467 del codice civile non trova applicazione per le somme versate dai soci alle cooperative a titolo di prestito sociale”. Una volta si diceva che per gli amici la legge “si interpreta”. Qui, direttamente, “non trova applicazione” l’articolo del codice civile secondo cui “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori”. Se una società fallisce i soci che hanno prestato capitali devono aspettare per riavere qualcosa indietro che prima siano soddisfatti dipendenti, fornitori, banche…
L’emendamento Sposetti tutela i soci che affidano i risparmi alla cooperativa come se fosse una banca, ignorando che il prestito sociale non è risparmio ma capitale di rischio. È un problema acuto che da anni tutti fingono di non vedere. Solo le Coop dei supermercati hanno in cassa oltre 9 miliardi dei loro soci, ufficialmente per finanziare l’attività, ma di fatto come servizio di gestione dei risparmi. È una banca vera e propria, con tanto di sportelli, bancomat e carta magnetica per pagare la spesa con il proprio credito verso la cooperativa. Sarebbe un reato punito con il carcere fino a tre anni dall’articolo 130 del Testo unico bancario (Abusiva attività di raccolta del risparmio). Ed è uno dei reati per il quale il mese scorso la Procura della Repubblica di Trieste ha chiesto il rinvio a giudizio di Livio Marchetti e Pierpaolo Della Valle, presidente e direttore generale della Cooperative Operaie di Trieste, affondata tre anni fa con un centinaio di milioni di prestito sociale; per lo stesso reato la Procura di Udine ha chiesto il processo per i vertici della Coop Carnica, anch’essa fallita nel 2014 bruciando 26 milioni di prestito sociale.
Sposetti è lo storico tesoriere dei Ds, fiero del gioco di prestigio con cui dieci anni fa ha messo al sicuro in un sistema di 57 fondazioni gli immobili del partito, sottraendoli alle pretese delle banche che vantavano crediti per 200 milioni e sono così andate a chiederli allo Stato: “Il debitore è morto”, è stata la sua spiegazione. Se la tira da simpatico mascalzone (“Sono un sostenitore del principio che alle banche i soldi non si restituiscono”) ed è riuscito a raccogliere sotto il suo discutibile emendamento la firma di autorevoli esponenti del Pd di Parma, Modena e Bologna, ma anche della capogruppo di Mdp-Articolo Uno Cecilia Guerra, che in effetti è di Modena anche lei (ecco su che cosa trovano l’intesa Pd e Mdp, altro che Pisapia, Ius Soli e articolo 18).
Siccome proprio in Emilia si moltiplicano i casi di cooperative che vanno in malora con i risparmi dei soci, giustamente i politici intrinseci a quel mondo preferiscono puntellare il sistema malato piuttosto che dire alle cooperative di smetterla di fare le banche. Esulta il senatore Stefano Vaccari, funzionario del Pd di Modena, soddisfatto di aver evitato che “il prestito sociale sia assimilato al finanziamento dei soci”, senza evidentemente rendersi conto che senza assimilazione è un reato. È contento: “Si evita che chi ha versato somme a titolo di prestito sociale venga superato dai fornitori nella precedenza dei creditori che hanno diritto al rimborso”.
Si evita appunto di applicare la legge, alla faccia dei fornitori delle cooperative che forse, nei calcoli degli strateghi dell’emendamento, non votano Pd o Mdp. L’emendamento Sposetti serve a legalizzare un’attività illegale e genera future grane a non finire, per la gioia degli avvocati. Per ragioni che comprensibilmente nessuno vuole spiegare, è stato scritto in fretta. In una prima versione prescriveva che il 30 per cento delle somme raccolte con il prestito sociale venissero investite, a garanzia dei soci, “in strumenti finanziari adeguati per liquidità, redditività e profilo di rischio”. In quella definitiva invece, forse dopo che qualcuno ha fatto notare all’estensore che quella si chiama gestione del risparmio, si cambia tutto e si prescrive che le coop “sono tenute a impiegare le somme raccolte in operazioni strettamente funzionali al perseguimento dell’oggetto o scopo sociale”.
Poi però si dice che si deve garantire la restituzione di almeno il 30 per cento del prestito sociale costituendo un patrimonio separato, cioè un tesoretto al riparo dall’eventuale fallimento della società. Cioè si raccoglie il prestito sociale per metterlo da parte a garanzia del prestito sociale. O sono dei geni o ci stanno prendendo in giro. Altro caso tipico: nell’emendamento c’è scritto che il prestito sociale di una cooperativa non può eccedere “il limite del triplo del patrimonio netto”. Bella idea. Peccato che i manager di Coop Carnia siano imputati proprio per aver superato il limite del triplo, istituito nel 1994. Sempre più spesso il Parlamento fa le leggi tirando i dadi.