L’inchiesta sul Russiagate del procuratore speciale Robert Mueller continua a scorrere come un fiume carsico: resta sottotraccia per settimane e poi erompe d’improvviso all’aperto, trascinando ogni volta via un pezzo del cerchio ristretto del presidente Donald Trump. Stavolta, a riconoscere le proprie responsabilità e ad accettare di collaborare con la giustizia è il generale Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale, dimessosi a febbraio proprio perché protagonista dell’intreccio di contatti tra la campagna di Trump ed emissari del Cremlino.
“Le mie azioni sono state sbagliate, assumo tutte le mie responsabilità”, dice Flynn, ammettendo d’avere reso falsa testimonianza mentendo sui suoi incontri con l’ambasciatore russo Kislyak, figura chiave di tutto il Russiagate. Nell’udienza, fissata per un patteggiamento, Flynn coinvolge il presidente: “Mi disse di contattare i russi”. Per concedere all’ex generale un trattamento di favore, del resto, Mueller non si accontenta che ammetta quello che lui già sa, ma vuole qualcosa in più.
A carico di Flynn e del figlio Michael jr, Mueller ha raccolto prove pesanti. Per tutta la campagna, Flynn era stato il consigliere di Trump più influente sul fronte della Difesa e degli Esteri, ostile all’accordo nucleare con l’Iran e favorevole a una relazione privilegiata con Putin e la Russia. Appena il Russiagate l’aveva compromesso, il presidente l’aveva subito mollato, non prima, però, di avere sollecitato l’allora direttore dell’Fbi, James Comey, ad “andarci leggero”, fino a destituire il funzionario che non teneva conto delle sue pressioni.
Mueller ha già ottenuto l’arresto e il rinvio a giudizio di Paul Manafort, l’ex capo della campagna, e del suo socio Rick Gates. Di fronte a tutti questi sviluppi, Trump e la Casa Bianca abbozzano e ostentano sicurezza: “Non ci toccano”. Ma i prossimi obiettivi di Mueller potrebbero essere il figlio del presidente, Donald Jr, e il genero Jared Kushner: entrambi hanno ammesso incontri sospetti con personalità russe, anche alla Trump Tower.
Il Russiagate continua a creare imbarazzi alle relazioni Usa-Russia e a quelle personali Trump-Putin. I presidenti si sono incontrati due volte: Trump, ogni volta, ha chiesto a Putin se aveva cercato d’influire sul voto americano; e Putin gliel’ha negato. “A me basta: io gli credo”, ha commentato Trump, attirandosi, in entrambi i casi, l’ironia dei media.