Un archivio con i dati dei clienti delle banche. Un contenitore a cui le forze dell’ordine attingevano in caso di segnalazione di operazioni sospette nella lotta al riciclaggio: fino a luglio c’era, oggi non più. Al suo posto, una mole di singoli archivi (anche cartacei) con proprie regole e propri parametri che non comunicano tra loro e rendono più difficili i controlli e il cosiddetto follow the money.
La cancellazione dell’obbligo dell’Aui, l’Archivio Unico Informatico, su cui banche e intermediari erano obbligati a registrare i rapporti aperti dalla clientela e i relativi dettagli è passato in un generale silenzio: tracciava conti, mutui, movimentazioni per importi pari o superiori a 15mila euro, anche frazionati. L’utilità stava nel filtro che, al di là della ordinaria contabilità della banca, registrava solo le movimentazioni più grosse e permetteva sia agli intermediari finanziari di monitorare a colpo d’occhio le posizioni a rischio interne, sia alle forze dell’ordine e all’Uif, l’Unità di Informazione Finanziaria di Banca d’Italia, di attingervi per indagini e vigilanza. Il cambiamento discende dalle direttive europee, l’Italia lo ha recepito nonostante i pareri negativi. La motivazione: adeguarsi agli altri paesi. Non fosse che in Italia l’archivio è nato soprattutto per la lotta alla mafia e al riciclaggio.
Con ordine. A luglio, con le norme introdotte con il decreto legislativo 90/2017 – che recepisce la quarta direttiva europea sull’antiriciclaggio – l’obbligo di registrazione che l’Italia aveva previsto sin dalla prima direttiva (nel 1991) con l’archiviazione in formato digitale, è venuto meno. Va ripetuto: l’archivio prevedeva, nel dettaglio, movimentazioni, deleghe a operare, modifiche al tipo di conto, co-intestazioni e così via. Serviva agli organi di vigilanza per vigilare su come banche&C. effettuavano i propri controlli interni (i bollettini di Bankitalia riportano, per dire, tutte le sanzioni emesse per la mancata registrazione) e alla Guardia di Finanza o alla magistratura per le indagini. Ogni mese, ad esempio, l’intermediario deve effettuare un’estrazione di dati sui movimenti superiori a 15mila euro e inviarla alla Uif. La Uif produce a sua volta le statistiche investigative: vede cioè come si sono mossi i flussi di capitale in Italia e se percepisce una situazione sospetta (quale può esser un’eccessiva movimentazione territoriale di contante) vi accende un faro. Paradosso vuole che la legge preveda che queste segnalazioni all’Uif continuino. Peccato non si capisca bene come, visto che l’Archivio da cui venivano estratte non è più obbligatorio.
“La norma non parla più di obblighi di registrazione – spiega Ranieri Razzante, presidente dell’Aira, Associazione italiana antiriciclaggio e docente universitario a Bologna – ma solo di obblighi di conservazione. Non nominando più l’archivio, si dice sia stato abolito o quanto meno non è più obbligatorio”. La filosofia della direttiva, ovvero il motivo per cui quest’obbligo è stato eliminato, è il voler raggiungere un’omogeneità normativa sul territorio comunitario, visto che per gli intermediari degli altri Paesi non è previsto. “Tuttavia i grandi intermediari italiani – spiega Razzante, che ne rappresenta con l’Aira oltre 280 – hanno già investito e ammortizzato sull’Aui centinaia di milioni”. E assicurano che non cambieranno metodo. “Ora si auspica che il ministero dell’Economia spieghi in un suo regolamento quali saranno queste nuove modalità di archiviazione e si spera venga consigliato di tenere l’archivio”. Uno strumento su cui semplificare, insomma, non ha molto senso: “Potrebbe esserci un riverbero negativo sui controlli e anche sulla possibilità da parte della vigilanza di fare moral suasion, pressione, sul modo con cui gli intermediari li fanno internamente”.
Il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, conferma ancora oggi quanto sottolineato a marzo in un’audizione di fronte alle commissioni congiunte di Giustizia e Finanza: lo definì un arretramento del presidio dell’antiriciclaggio. “Non riesco a capire perché sia stata presa questa decisione – disse – tutti gli intermediari lo hanno, una banca che viene in Italia può costruirlo in poco tempo ed è uno strumento di trasparenza per la banca stessa”. Fece poi riferimento a chi se ne lamentava. “Ma sono gli stessi soggetti – spiegò – di cui stiamo ancora aspettando le segnalazioni di operazioni sospette”. Anche il direttore dell’Uif, Claudio Clemente, sostenne la conferma dell’archivio “per la conservazione, la tracciabilità, la verifica delle operazioni e la relativa analisi finanziaria per l’individuazione delle operazioni anomale”. Unico a gioire dell’eliminazione, nel corso della stessa seduta di audizioni, fu Assogestioni, associazione del risparmio gestito, che rappresenta anche società di intermediazione mobiliare, società di investimento a capitale variabile e assicurazioni. Il registro della clientela era poi obbligatorio anche per avvocati, notai, commercialisti.
Ora Banca d’Italia e Uif stanno lavorando per cercare di definire una normativa secondaria, che andrà emanata entro marzo 2018 e che indichi i parametri con cui banche e intermediari dovranno comunque conservare i dati. In pratica, si cercherà di far mantenere su base volontaria questi archivi. È probabile che chi vi ha già investito non abbandoni questo metodo di conservazione, le nuove banche, invece, non saranno tenute ad alimentarlo. In mezzo, le forze dell’ordine che per le indagini potrebbero trovarsi a essere costrette a richiedere dati e informazioni a decine di singoli operatori, quando sarebbero bastati pochi automatici clic.