Tutte le difficoltà in cui si dibatte il Pd in questa fase nascono da una bizzarra scelta di fondo: distruggere la propria coalizione e contemporaneamente proporre una legge elettorale in cui un terzo dei seggi vengono assegnati da collegi uninominali (in cui servono le coalizioni). Accortisi della stranezza, i democratici stanno tentando di costruirsi in fretta qualche alleato, ma la faccenda è complicata: Giuliano Pisapia ha mollato per l’eccessiva inconsistenza del suo stesso progetto (fare il lato sinistro di Renzi mentre c’è una scissione a sinistra); Alfano e i centristi non hanno voti e in sostanza non esistono più. Ora verranno partorite due liste raccogliticce: una centrista (cioè all’ingrosso democristiana), una “laica” coi rimasugli dei rimasugli. Ci saranno ex sindaci arancione, qualche verde, qualche vendoliano, qualche socialista e, visto che nella manovra è stata inserita la norma ad hoc sulle firme, anche i Radicali italiani di Emma Bonino & C (sarebbe la lista “+Europa”).
Ieri sera una delegazione dei “piùeuropeisti” – composta dal sottosegretario Benedetto Della Vedova e dal segretario dei Radiali Riccardo Magi – è stata pure ricevuta da Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi: il tema dell’incontro era proprio quello delle troppe firme da raccogliere (oggi 750 in ognuno dei 63 collegi plurinominali in cui si vuole presentare una lista). “Abbiamo ribadito al presidente del Consiglio la questione di rendere praticabile un campo che oggi è impraticabile, quello della partecipazione alle elezioni”, ha dichiarato alla fine Della Vedova. Quanto all’accordo col Pd, “al momento non è in programma alcun incontro: La condizione per ogni decisione è che il campo delle elezioni sia praticabile”. In sostanza, prima vedere cammello.
E il cammello, per così dire, è in arrivo. Ieri i democratici hanno presentato un emendamento a prima firma Alan Ferrari che fa scendere le firme da raccogliere per singolo collegio a 375, obiettivo abbordabile e che soddisfa la costituenda lista radicale più altri sparsi. Sempre Della Vedova: “C’è stata una iniziativa del Parlamento in questo senso. La via maestra è quella, vediamo cosa accade nei prossimi passaggi”. Comunque prima vedere cammello.
Pure con questa “Rosa nel pugno 2.0” da una parte e i democristiani che metterà insieme da Pier Ferdinando Casini dall’altra non proprio un’invincibile armata. Quel che pare pensare anche Romano Prodi, che ieri mattina a Roma ha lanciato due o tre granate in direzione Nazareno: “Non tutte le frittate finiscono col venir bene… Quella di Pisapia non è stata una defezione, perché non aveva deciso: ha studiato il campo e poi ha concluso che non era cosa”. Il Professore sembra guardare al futuro, ma forse non al 2018: “Il processo va avanti. Si tenterà di nuovo perché è un processo importante ed utile al Paese. Pisapia ha esplorato e non ha trovato in se stesso o nel gruppo di riferimento motivazioni per andare avanti. E questo mi dispiace”. E quindi? “Il problema – secondo Prodi – è che bisognerebbe ricominciare da capo. Io a suo tempo non ho inventato granché, ma c’era un disegno preciso di mettere insieme forze e contenuti. Mi criticarono per il programma di 400 pagine, ma quello di 140 caratteri non è molto più soddisfacente. Un programma politico può anche essere di sei volumi. Ma con una coalizione ampia si deve scrivere. È realismo”. Parole che l’accenno a Twitter garantiscono rivolte a Renzi: un progetto politico non si costruisce così.